Quando si dice: TV spazzatura…

Poche settimane fa, nella ridente città storica di Bosa (costa occidentale della Sardegna) l’azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti ha proceduto alla sostituzione dei classici cassonetti per l’immondizia. Per cause ignote (ma di sicuro attribuibili ad una organizzazione non proprio efficientissima) per alcune ore i bosani, noti per la loro pazienza, sono rimasti senza contenitori per i loro rifiuti. La reazione spontanea e immediata è stata che nel giro di poco tutte le strade bosane traboccavano di ogni genere di immondizia, alla stregua di una qualsiasi arteria napoletana. Per essere fedeli fino in fondo al modello vincente, qualcuno (i bosani sono fantasiosi, per chi non li conoscesse) proponeva anche, con una certa convinzione, di dar fuoco ai mucchi di sacchetti. Operazione di un’astuzia rara, se realizzata nel bel mezzo dell’abitato e in piena estate.

 Ora, questo episodio dimostra due cose.

La prima, secondaria, è che una certa fama guadagnata dai bosani nel corso della lunga storia della città (Melchiorre Murenu docet) forse non è del tutto attribuibile al malanimo di detrattori interessati. Ma su questo si può tranquillamente discutere.

La seconda, più rilevante, è che l’episodio minimo qui riportato ci spiega perfettamente quali siano i processi che presiedono alla formazione della c.d. opinione pubblica e, più in profondità, dell’immaginario collettivo attraverso il medium televisione.

Pasolini nel corso di un famoso dibattito televisivo (gira su YouTube, per chi fosse interessato) sostenne una volta, tra lo stupore anche un po’ indignato di illustri giornalisti, che la TV è un mezzo autoritario e falsificatore per sua natura, al di là del contenuto del messaggio trasmesso. Un po’ la conferma della famosa massima di M. McLuhan: “il medium è il messaggio”. La cosa là per là non fu accolta bene e soprattutto non fu compresa affatto dagli interlocutori del grande intellettuale friulano. Eppure era una banale e semplicissima constatazione, di cui c’è conferma quotidiana.

Ora, il caso dei cassonetti di Bosa ci mostra come un modello imposto dalla televisione (i rifiuti per le strade e, caso mai, come suprema celebrazione, il loro rogo) entri automaticamente, senza il filtro di alcuna critica, di alcuna domanda sul senso e sui risvolti concreti di ciò che così si assimila, nella mente e nell’anima dei telespettatori. Che le immagini dei rifiuti venissero fatte vedere col sottofondo di commenti preoccupati o persino di condanna, non ha alcun rilievo. Non è quello il contenuto vero del messaggio. Il bombardamento televisivo inocula nel cervello (di solito alquanto depotenziato) degli individui un virus che poi lo “formatta” e lo predispone a reazioni che non hanno nulla a che vedere con il corredo di senso che i commenti giornalistici vi giustappongono.

Il guaio è che chi controlla e gestisce i mass media mainstream queste cose, empiricamente o per studio, le sa. Siamo noi, la massa indistinta degli spettatori (qualifica che ci designa come soggetto passivo di qualcosa preparato e rappresentato da altri) a non rendercene conto e a subirne le conseguenze. Anche chi ritiene di essere dotato di strumenti interpretativi idonei e si vanta di avere un grado di istruzione elevato spesso è tanto disarmato davanti ai meccanismi dell’Egemonia (come la definiva Gramsci), da non rendersi conto di subire lo stesso condizionamento di chiunque altro, fosse pure il più distratto o ignorante dei suoi vicini di casa. Perché nessuno ci ha insegnato a capire e a utilizzare correttamente i mass media (TV in primis). E i mass media possiedono una forza terribile verso chi non ne conosce il funzionamento e le potenzialità, ossia quasi tutta l’umanità. Il che ovviamente non è frutto del caso o della noncuranza, ma del calcolo di chi ha in mano le famose leve del potere.

Chi potrà dunque liberarci da questo incubo orwelliano? Temo (pessimismo della ragione) che si debba per forza di cose aspettare il collasso della civiltà capitalista, per venirne a capo.