Gnothi seauton

Dal Sole24ore di ieri, martedi 19 agosto 2008, si ricava la notizia che la Sardegna è la più virtuosa tra le regioni dello stato italiano quanto a rapporto tra entrate tributarie e spese dell’amministrazione pubblica. Il che equivale a dire che la Sardegna ha una sua autosufficienza finanziaria. Questo, senza considerare che lo stato italiano è debitore insolvente verso la Sardegna di qualcosa come 10 miliardi di euri (la famosa “vertenza entrate”).

In senso opposto, alcuni giorni fa un giornale isolano riportava dati allarmanti sul commercio sardo, con il corollario, nient’affatto sottaciuto, della nostra cronica e insuperabile debolezza economica.

Aggiungo, a completamento degli elementi di discussione, che sempre qualche giorno fa un mio diciamo “conoscente”, non sardo (devo rimanere nel vago), nel corso di una chiacchierata postprandiale, dichiarava papale papale che, be’, bisogna pure ammettere che in Sardegna, prima che arrivassero da fuori, non è che ci fosse nulla. Traducendo: prima che se ne occupassero altri popoli ovvero illuminati imprenditori stranieri (ivi compresi gli italiani), la nostra terra era una sorta di landa selvaggia, miserrima, fuori del mondo, condannata alla perdizione. Un destino ineluttabile, senza il sostegno e l’aiuto esterni. Generosi e disinteressati, beninteso.

La prima è una notizia vera: dati alla mano, si trae una conclusione algebrica e il risultato è inequivocabile. La seconda è una notizia tendenziosa e parziale (le tabelle presentate erano incomprensibili e i dati ambigui, le conclusioni del tutto arbitrarie). La terza è un’idiozia.

La cosa grave è che il secondo e il terzo esempio sono tipici dell’intreccio di informazioni manipolate e panzane storico-politiche, che concorrono a formare ancora oggi gran parte dell’idea che i sardi hanno di se stessi e della propria terra.

Il tutto, naturalmente, è rigorosamente e direttamente funzionale alla perpetuazione del sistema di controllo e di saccheggio parassitario delle risorse della Sardegna, del suo mantenimento in “stato di minorità”. E si lega alla perdurante censura sulla nostra storia.

Ma, qui sta il busillis, chi dovrebbe ribaltare la prospettiva e coronare finalmente la famosa “rivolta dell’oggetto” siamo proprio noi, vittime dell’Egemonia imperante. Quelli che accorrono a migliaia per osannare il ragazzo sardo vincitore di una gara televisiva, ma non fanno una piega se si allestisce sulla loro terra il più grande aeroporto militare del Mediterraneo (a scopi bellici, s’intende, mica così, per bellezza). O si apprestano a festeggiare un signore dalla dubbia moralità (se non altro per la sua propensione a proteggere pedofili notori), che per una serie di circostanze è il capo della chiesa cattolica e di uno stato estero, il quale viene in Sardegna a celebrare una patrona (la madonna di Bonaria) che non rappresenta altro se non la conquista catalana della Sardegna, ossia la fine della nostra storia come nazione sovrana.

Siamo messi così.

Ma disperarsi non serve a nulla. Rimboccarsi le maniche (in senso traslato e in senso proprio) forse invece a qualcosa servirà. Mi ripeto volentieri: pessimismo della ragione, ottimismo della volontà.