Nino e la balena è il titolo del nuovo libro di Giacomo Casti, uscito poche settimane fa per Milieu. Un piccolo scrigno di incantamenti e suggestioni che va schiuso con accuratezza da enigmista e con spirito d’avventura.
Giacomo Casti è un operatore culturale a tutto tondo, ben noto in Sardegna, non solo nella sua Cagliari e nel suo San Sperate. Uomo di teatro e di organizzazione ed anche autore a più facce. Ma, prima di tutto, lettore.
Questo suo nuovo lavoro, ingannevolmente piccolo quanto a dimensioni, fa tesoro prima di tutto delle sue letture. Intese come atti di leggere e anche nel senso di interpretazioni personali.
Cos’è questo Nino a la balena? È un romanzo ucronico, potrei rispondere di primo acchito. Una sorta di “What if?”. E non potrei essere smentito. Il protagonista (uno dei due protagonisti) della storia è un personaggio conosciuto, a cui viene consegnato un destino diverso da quello noto a tutti e registrato nelle cronache.
Ma mentirei, se mi limitassi a questa risposta. Vero, il plot ucronico c’è e sorregge tutta la narrazione. Ed ha il suo fascino. Quante persone, appassionate dalla figura di Nino Gramsci (perché è di lui che si parla) non hanno mai pensato a cosa sarebbe successo se non fosse morto quel 27 aprile 1937?
Giacomo Casti ci dà la sua versione. Niente di fantascientifico, anzi, una soluzione realistica, alla luce delle circostanze e dei tempi in cui una tale vicenda si sarebbe svolta. Il Nino Gramsci superstite sarebbe stato comunque detentore di un cervello pericoloso per il regime. Impensabile, in quel 1937 imperiale e cupo, vigilia di leggi razziali e di strette ancora più feroci del regime, restare alla portata delle grinfie dei fascisti. Imbarcarsi su un transatlantico e far perdere le proprie tracce, almeno fino al mutare della situazione, sarebbe stata una scelta quasi obbligata.
Tuttavia, la lettura rivela ben presto altri risvolti, oltre a quelli letterali della trama. Un alone di mistero e di inquietudine ricopre l’azione, alimentato dalla voce potente e quasi profetica dell’altro protagonista, un essere quasi demoniaco, nella sua mole e nelle sue pulsioni, ma portatore a sua volta di una verità con cui ci chiama a fare i conti. Un contraltare, quasi uno specchio, per il fuggiasco imbarcato sulla potente nave Rex.
Non voglio rivelare troppo, è giusto lasciare a chi legge il gusto della scoperta e delle emozioni che essa suscita. Dico solo che questo libro è una trappola letteraria, una sorta di castello – o di vascello – fatato, in cui ogni cosa è anche qualcos’altro.
C’è un gioco di rimandi ciclici e di riferimenti incrociati che fa pensare a Borges. Ci sono molti omaggi a personaggi letterari e storici, a libri e a musiche (personalmente ho apprezzato moltissimo quello a Eric Hobsbawm). Ciascuno troverà il suo easter egg preferito. In ogni caso, non c’è niente di forzato o ostentato, in tutto ciò. Si tratta di elementi funzionali al percorso allegorico in cui l’autore ci trascina.
Perché alla fine, al di là della scorrevolezza e della facilità narrativa, che pure ne sono un tratto distintivo, l’incantamento del libro è dovuto alla profondità – mi viene da dire oceanica – delle questioni evocate. In questo senso, potremmo parlare di una grande favola perturbante, la cui morale non è squadernata didascalicamente alla fine. Richiede invece a chi legge uno sforzo di riflessione e di immedesimazione.
A me, fin dalla prima lettura, ha richiamato ragionamenti ormai di lungo corso sul senso della lotta politica, dei principi in nome dei quali lottare. E sul senso del potere. Quel potere che si può “scagliare dalle mani” per scopi nobilissimi e universali, salvo scoprire che forse il fine non giustifica i mezzi.
La figura mitologica di Nino Gramsci – del rivoluzionario, del militante con i piedi sul terreno della lotta, ma anche del pensatore e dell’ideatore di concetti chiave – serve come medium per aprirci un varco verso un altro livello di percezione.
Può sembrare un peccato di presunzione, una sorta di hybris letteraria, fare di una figura così densa di connotazioni e così studiata, il personaggio di un’opera di fiction. Giacomo Casti lo fa con molto rispetto e con efficacia, partendo da una conoscenza intima e non occasionale della vita e delle opere di Gramsci. Non è una conoscenza da erudito o da sacerdote, la sua. È più un’immedesimazione emotiva ed empatica, una comprensione senza troppe mediazioni e anche senza la pretesa di spiegare tutto, compreso l’inspiegabile.
Così, attraverso la finzione, si possono mettere in campo domande fondamentali che lo stesso Gramsci si pose e ci ha posto a suo tempo, e si pone come personaggio anche dentro questa dimensione parallela, in cui ha strappato alla sorte e al regime di Mussolini un altro po’ di vita.
Quand’è che il confine tra il giusto e l’ingiusto, pure facilmente riconoscibile da qualsiasi essere senziente, sfuma e si modifica, fino a capovolgere il senso delle cose? Forse il problema sta nel confondere giustizia con vendetta. È una delle possibili interpretazioni, evocata nel racconto stesso. O, ancora, forse il problema sta nel rendere assoluto e astratto quel “giusto” in nome del quale si agisce, di trasformarlo in un dogma. Un dogma non si discute, non ci si riflette su: si rispetta e ci si sottomette. Ma così qualsiasi pulsione umana, persino la più nobile, come la libertà, come l’eguaglianza, rischia di produrre il contrario del suo stesso scopo.
Il messaggio allora potrebbe essere che, in ogni circostanza, dobbiamo sempre ricordarci della nostra finitezza e del nostro partecipare, con la nostra esistenza materiale, le nostre azioni e i nostri pensieri, a una rete intricata di relazioni, con altri esseri umani e con altri esseri non umani, della cui esistenza va tenuto conto.
In questo nostro viaggio così complicato, in cui ogni persona piega lo spazio tempo attorno a sé dando forma a quello che chiamiamo destino, a volte si sbaglia credendo di fare bene, o si naufraga. In questi casi, quando ci ritroviamo sballottati tra i flutti della sorte (o della Storia), aggrapparsi ai libri può essere una possibilità di salvezza. Fino a quando il mostro non ci inghiotte.
Giacomo sta presentando il libro in giro per la Sardegna, con qualche tappa anche in Italia (spero molte). Saranno buone occasioni per discuterne con lui e per provare a risolvere l’enigma che questo riuscito romanzo-non romanzo ci sottopone.