Il 30 settembre scorso sono stato ospite del programma TG Zero, su Radio Capital.
Il tema per cui sono stato invitato a intervenire era la questione delle servitù militari.
Dopo l’uscita dell’appello del mondo della cultura e dello spettacolo a sostegno della manifestazione in programma il 12 ottobre 2019, si è accesa un po’ di attenzione mediatica sul tema.
Mai troppa, sia chiaro.
L’occasione di intervenire su una radio di grande diffusione, a livello italiano, a proposito di una questione normalmente taciuta dai media e ignorata dai più, non è un fatto banale.
Qui si può ascoltare la puntata, per chi se la fosse persa.
Preciso che non sono intervenuto a titolo meramente personale. C’è una larga e attiva condivisione da parte di una comunità variegata, dietro a ciò che ho testimoniato in questa circostanza.
Va dato merito a tutti coloro che, nel corso degli anni, hanno costantemente seguito la questione, cercato la verità, testimoniato contro questa usurpazione anti-democratica senza badare al prezzo che sempre costa.
Naturalmente di cose da dire ce ne sarebbero altre e anche piuttosto significative.
Intanto sarebbe stato necessario circostanziare di più la questione: perché esistono e da quando, queste servitù militari? come mai la Sardegna, pur formalmente Regione autonoma, non ha mai obiettato nulla a tale situazione, in sede istituzionale? e, se sì, com’è andata? ecc.
Inoltre sarebbe stato necessario chiarire la natura e la portata dei danni non solo nell’ambito della salute dei cittadini, ma anche in quello sociale ed economico, in quello demografico, in quello culturale.
Tutti aspetti, beninteso, richiamati nell’appello di cui sopra. A cui dunque è necessario rimandare.
È importante che la questione dell’asservimento militare della Sardegna esca dalla sua cornice squisitamente militante, antagonista, e diventi un problema politico a tutto tondo.
Un problema politico per l’Italia e per l’Europa, ma anche per l’intera comunità internazionale.
Contesti nei quali stentiamo ad avere una voce nostra o non ne abbiamo affatto.
Sia per colpa della politica sarda istituzionale, in questa faccenda “podataria”, subalterna e coloniale quanto mai.
Sia per una condizione oggettiva di marginalità e assenza di personalità giuridica, che ci deriva dall’essere una regione periferica, quasi un corpo estraneo, di uno stato più grande.
Paradossalmente, se la Sardegna fosse uno stato indipendente, la questione assumerebbe tutt’altra fisionomia.
Così come avvenuto o avviene ancora per molti stati indipendenti, il gioco geo-politico e la necessità di preservare gli “interessi nazionali” avrebbero potuto spingere i governi sardi ad accettare, in una misura concordata e opportunamente compensata, collaborazioni militari e persino la cessione di qualche porzione di territorio.
Un mero calcolo di opportunità, insomma, su cui avrebbe agito l’inevitabile dialettica politica interna tra destra e sinistra, militaristi e pacifisti, ecc.
Invece, nella nostra condizione subalterna e deficitaria, la questione assume i contorni brutali di una imposizione colonialista e anti-democratica, senza alcuna legittima ragione a proprio sostegno che non siano i meri rapporti di forza.
Non è un caso che si tratti di uno dei temi su cui l’indipendentismo interviene con maggiore enfasi.
E tuttavia la situazione è talmente inaccettabile che anche altre sensibilità politiche e civiche da tempo si occupano del tema e intervengono, come possono, nello spazio pubblico.
Questo consente che la mobilitazione in atto e la battaglia politica a cui è chiamata non possano essere ricondotte a una posizione di parte o a un contesto ideologico specifico.
È il segnale che le coscienze in Sardegna, nonostante tutto, sono tutt’altro che sopite.
E finché esisterà una scintilla di amor proprio, di spirito di condivisione, di coscienza civica e politica, sarà impossibile sopire il dissenso, a dispetto delle misure diversive o repressive che costantemente vengono messe in atto.
Ricordo ancora: appuntamento per il 12 ottobre prossimo, presso il poligono di Capo Frasca.
È solo una tappa, ma è importante.