A leggere l’elenco degli sponsor della Dinamo Sassari di basket c’è da rabbrividire. Già quello principale, il Banco di Sardegna, non ha molto di rassicurante. Istituto appartenente al Gruppo BPER, è una banca sempre meno legata al territorio sardo e sempre più coinvolta nei giochi finanziari a livello internazionale. Ma questo rientra in un ordine di cose cose ben poco sorprendente, se vogliamo.
Altri sponsor sono più inquietanti. La prima sensazione è che si tratti del consueto investimento in attività destinate da un lato a offrire un’immagine positiva delle aziende coinvolte, dall’altro a distrarre l’opinione pubblica.
Un’operazione già vista ai tempi del Piano di Rinascita e del grande Cagliari di Gigi Riva. È giusto richiamare tale precedente proprio per sottolineare come questo genere di faccende si riveli sempre più complicato di quanto possa sembrare.
Proprio per la sua natura complessa, problematica, è dunque opportuno cercare di capire meglio cosa rappresenti oggi in Sardegna il fenomeno Dinamo basket e quali ne siano gli elementi costitutivi.
Per coglierne tutta la portata occorre preliminarmente abbandonare l’accondiscendenza o il fastidio palese che di solito mostra in merito buona parte dell’intellighenzia sarda, spesso sedicente di sinistra ma in realtà per lo più conformista, antipopolare e in qualche caso reazionaria. L’ostilità che questa fetta della nostra classe pseudo-dirigente esprime sempre, al minimo rischio che si incrini il rapporto di forza di dipendenza passiva che ci affligge, la dice lunga su quale sia il suo orizzonte di riferimento.
Specularmente, anche una parte sia pure minoritaria dell’ambito indipendentista-nazionalista guarda con diffidenza a questi fenomeni, soffrendo della stessa insofferenza per tutte le manifestazioni popolari di cui soffrono i propri omologhi di fede italiana. Con in più una sorta di voluttà dell’astrazione, di fuga nel teorico, che risulta sempre confortevole e alla fin fine deresponsabilizzante. Per costoro la complessità di un fatto sociale e culturale come il tifo sportivo è inconciliabile con gli schemi precostituiti in cui vorrebbero incanalare la realtà. Che ovviamente se ne va per la sua strada, infischiandosene.
Sgomberato il campo da queste letture sminuenti, vediamo un po’ da cosa nasce l’attuale mania per la Dinamo Sassari e quali possono esserne le caratteristiche e le conseguenze.
Il basket in Sardegna non è uno sport così minoritario e di nicchia come si potrebbe pensare. Ha invece, da molti anni, una larghissima e capillare diffusione a livello di pratica giovanile, scolastica e agonistica. Non sono mancate, negli ultimi decenni, società cestistiche sarde che abbiano ottenuto buoni risultati, a partire dalla Brill Cagliari di Nino Rovelli. Ma penso anche, più di recente, ad altre squadre ancora di Cagliari (come l’Esperia) e poi di Olbia, Porto Torres e Nuoro, nelle serie di immediato rincalzo rispetto a quelle maggiori a livello italiano.
La passione per la Dinamo Sassari, insomma, non nasce come un fiore nel deserto. Tuttavia, quali che siano gli interessi diretti o indiretti degli sponsor, quali che siano gli intenti della stessa proprietà della società sportiva Dinamo Sassari, in questo momento ci troviamo di fronte a un fenomeno popolare ormai fuoriuscito dai confini della passione sportiva pura e semplice.
Intanto l’attenzione per le gesta dei “giganti” della Dinamo è pansarda, esito per nulla scontato. Non fa differenza qualche voce discordante o qualche tentativo messo in atto da disturbatori in servizio permanente effettivo (ovviamente soprattutto nei social media). Le questioni di campanile sono state abbondantemente sopravanzate dal favore diffuso. L’identificazione di tanti sardi nelle gesta della Dinamo è un fatto. Contestarlo o sminuirlo non serve a molto.
Qualcuno vi riconosce una manifestazione della nostra solita sindrome da subalterni in cerca di riscatto, sia pure in un ambito innocuo come lo sport. Anche su questo il dibattito è aperto da tempo. Sinceramente non concordo con chi tende a non dare alcuna rilevanza a tale aspetto.
È vero che queste situazioni possono diventare scappatoie di comodo dai problemi reali e più complessi che ci affliggono e, in questo senso, produrre un effetto normalizzante, sedativo della coscienza civica. Ma, nella nostra condizione storica, solitamente a tale effetto si somma sempre, direi automaticamente, anche un effetto ulteriore. L’idea del riscatto, quindi della accettazione di una nostra condizione deficitaria, viene superata dall’acquisita consapevolezza di poter arrivare a successi che normalmente tendiamo ad escludere dal novero delle nostre possibilità.
A poco vale l’obiezione che stiamo parlando di una squadra professionistica i cui giocatori non sono affatto sardi (tranne uno, una riserva). L’aspetto simbolico travalica queste considerazioni riduttive. Il fatto che la società sportiva Dinamo abbia promosso un’immagine di sé come rappresentativa dell’intera Sardegna e non solo della città di Sassari, se fa storcere il naso ai sassaresi purosangue (in ciabi), ha avuto un suo esito pressoché immediato e dirompente in tutta l’isola. La trovata di richiamare, anche iconograficamente, i Giganti di Mont’e Prama (altro elemento identitario di recente successo) ha dato il suo contributo, in questo senso.
Non nego che ci siano aspetti problematici da valutare, in questa operazione, però ritengo che l’effetto complessivo, a certe condizioni, possa essere tutt’altro che normalizzatore. Può rivelarsi anzi dirompente in termini emancipativi, specie se associato ad altri fatti della nostra contemporaneità.
Pensiamo, ad esempio, al rischio di diventare la pattumiera nucleare dell’Italia, alla prepotenza con cui si occupano migliaia e migliaia di ettari di territorio sardo con attività militari pericolose, alla disastrosa situazione dei traspprti e delle infrastrutture, alle speculazioni energetiche. Risvegliare la fiducia in se stessi dei Sardi, a questo proposito, può diventare un boomerang per chi coltiva l’interesse alla nostra rassegnata sottomissione.
È paradossale che a coltivare tale interesse siano anche alcuni degli sponsor principali della Dinamo (pensiamo a Tirrenia e Sarlux). I calcoli basati sulla passività della popolazione sarda sono sempre parziali e la situazione sfugge troppo facilmente al controllo. Come del resto insegna proprio la parabola del Cagliari di Gigi Riva.
Intendiamoci, non siamo di fronte a un fenomeno come il tifo per le quadre delle nazioni senza stato iberiche. Difficilmente i tifosi della Dinamo fischierebbero l’inno italiano (odiosamente suonato prima di ogni partita, per altro). Però non sottovaluterei il potenziale eversivo dei successi sportivi in Sardegna.
Certo, dipende molto da come il fenomeno viene trattato dai mass media. E proprio qui mi pare di cogliere dei segnali diversi dal consueto. In particolare la linea editoriale dell’Unione sarda, che mette in parallelo il sostegno per la Dinamo e le notizie più preoccupanti per l’isola, generando un effetto di dissonanza che può avere effetti positivi di disvelamento.
Da valutare le conseguenze della promozione che la Dinamo può garantire alla Sardegna in termini turistici o per i settori produttivi più legati al territorio, come quello agroalimentare. In questo caso vanno fatte considerazioni più mediate e anche meno frettolose, possibilmente a distanza di qualche anno. Però anche questo è un fattore rilevate della questione, da tenere presente.
C’è poi un ulteriore, possibile effetto anche per il resto del movimento sportivo sardo, se l’attenzione mediatica viene sfruttata in modo intelligente. Perché è vero che il sostegno della Regione sarda alla Dinamo rischia di andare a detrimento degli altri sport, ma si tratta di una mancanza politica, non certo di una colpa del basket professionistico. L’attenzione ai vari aspetti della questione, nei suoi nodi principali, può essere enfatizzata, non soffocata, proprio dai successi delle compagini professionistiche di alto livello, contribuendo a garantire la sopravvivenza dello sport di base.
Un altro aspetto positivo del fenomeno Dinamo riguarda più propriamente il tifo sassarese, quello che riempie le gradinate del Pala Serradimigni. Le eventuali connotazioni puramente ostili o fanaticamente di parte che il tifo sportivo spesso porta con sé, in questo caso sono disinnescate nei loro esiti più estremi dalla capacità di sdrammatizzare tipica dello spirito popolare sassarese. La cionfra, il disincanto ironico, è una cifra interpretativa della realtà che non lascia mai spazio all’eccesso di adesione a qualsiasi idea, passione, appartenenza e ha la meglio sulle pulsioni violente. Nel caso del tifo per la Dinamo si traduce direttamente nell’imposizione di una canzone come Faccia di trudda a inno portafortuna. Dove altro mai sarebbe possibile una cosa del genere?
Non dimentichiamo infine l’aspetto più ovvio e sempre un po’ trascurato, quello strettamente sportivo. C’è un risvolto pedagogico, negli sport di squadra, senza dimenticare il puro godimento estetico ed anche emotivo che essi possono generare, specie quando sono di così alto livello. Risvolti che sono parte integrante di una disciplina spettacolare come il basket.
Non sappiamo, in questo momento, se la Dinamo Sassari vincerà lo scudetto del campionato italiano di pallacanestro. Se accadesse, sarebbe un evento certamente notevole. Senza trascurare che per alcuni si tratterebbe del secondo titolo italiano vinto da una squadra straniera (dopo quello del Cagliari calcio del 1970). Ma anche se non accadesse, la portata del fenomeno e i suoi significati non ne sarebbero intaccati se non in parte.
Resta da vedere che seguito avrà questa vicenda, se cioè rimarrà una parentesi facilmente dimenticabile, o se invece avrà un prosieguo più consistente come durata e come portata. Nell’attesa di avere nuovi riscontri da vagliare criticamente, godiamoci il momento. E fortza Dinamo!
A proposito di sport e di quello che lo sport può rivelare: nel festeggiare oggi Fabio Aru (per inciso, ritengo abbia ragione chi avrebbe voluto che il nostro Pigliaru, come Renzi a New York per le tenniste, volasse subito a Madrid), vogliamo sottolineare la “stranezza” (se così vogliamo chiamarla) ancora una volta tranquillamente sotto gli occhi di tutti (italiani e sardi anzitutto)? Aru (come altri atleti sardi) appena vince subito si ammanta nel vessillo dei 4 mori, in Italia come (ancor più significativamente) all’estero: quale atleta italiano e di quale altra regione fa o potrebbe fare altrettanto senza suscitare clamore e polemiche? Non c’erano bandiere pugliesi, mi pare (ammesso che qualcuno le riconosca, oltre -si spera- i pugliesi), a sventolare su Flushing Meadows.
Ci sarebbe da esercitarsi sui perché.
Comunque questo sta a indicare (che la Sardegna sia, almeno in quest’epoca, Italia o che, problematicamente, non lo sia) la presenza di una qualche condizione di eccezione.
La condizione di eccezione (rispetto al contesto italiano) è evidente e mi pare un dato storicamente acquisito. Andrebbe analizzata e spiegata, cosa che di solito si omette di fare (mi riferisco alla nostra storiografia, alla nostra sociologia, ai nostri commentatori sui mass media mainstream, ecc.). Per altro Aru nel corso della cerimonia finale ha anche “indossato” il tricolore italiano. Cosa abbastanza singolare, se volessimo enfatizzare tali circostanze, dato che si tratta di un atleta sardo che gareggia per una squadra kazaka.
Non attribuirei a questo tipo di gesti significati troppo profondi. I significati li possono assumere a posteriori, nell’immaginario collettivo, a seconda delle cornici usate dai mass media per raccontarli. Ma si tratta di costrutti narrativi che di solito esulano dalle intenzioni dei protagonisti reali (salvo che non ci siano dichiarazioni o atti espliciti da parte di questi ultimi, cosa che non mi pare di rinvenire nel caso di Aru).
Circa l’altra questione, non ritengo affatto che il presidente Pigliaru fosse tenuto in alcun modo a presenziare a Madrid. Si è già ricoperto abbastanza di ridicolo con le sue improvvide dichiarazioni a proposito di una fantomatica “conquista della Spagna”. La politica che si appropria dello sport per il proprio tornaconto di consensi e di legittimazione non è mai un bel vedere. Nel caso di Piagliaru, sarebbe stata anche un’azione di pessimo gusto, data la sua palese inadeguatezza al ruolo e dati i pasticci (per usare un eufemismo) che questa giunta regionale sta combinando.
Circa l’altra questione (Pigliaru a Madrid), premesso che il terreno è abbastanza paradossale (Pigliaru forse nemmeno è stato sfiorato dall’idea di andarci, non ho letto un rigo che parli dei suoi pensieri su questo, quindi chi ora pensi che invece avrebbe potuto andarci può passare per un suo sostenitore, chi pensa abbia fatto bene a non andarci lo motiva muovendogli critiche generali), non ho di che ribattere sulle critiche in merito alla “palese inadeguatezza al ruolo” e ai “pasticci” che questa giunta regionale starebbe combinando, inadeguatezza e pasticci per i quali andare a Madrid sarebbe stata “azione di pessimo gusto”; si tratta di valutazioni politiche a monte della questione, valutazioni che condizionano nettamente anche il giudizio in merito alla battuta di Pigliaru su una “conquista della Spagna” (battuta che io ho letto solo qui, molto da giornalismo sportivo; non so quanto sia informale il contesto da cui è ripresa).
Ovviamente non avrei voluto intendere un gesto da “politica che si appropria dello sport per il proprio tornaconto di consensi e di legittimazione”, ciò che “non è mai un bel vedere” (e chi non è d’accordo, a metterla così?). Quindi non è proprio possibile per te, Omar, che un simile gesto, compiuto da un Presidente della Giunta (uno ideale, mister X), possa avere altre intenzioni, assumere altri significati e raggiungere altri scopi? Certo, dipenderebbe per lo meno da quello che Mister X andrebbe a dire (nel giorno in cui il Primo Ministro Italiano è negli Stati Uniti apposta per celebrare atlete italiane, non trascuriamolo) e dalla credibilità di questo Mister X. Si è capito che per te la credibilità di Mister Pigliaru è tra il ridicolo e l’improvvido (e il pasticcio, eufemisticamente), valutazioni politiche da cui, capisco, è difficile prescindere.