I casi di cronaca sono sempre in cima alle preferenze dei mass media di regime, quando c’è da spostare l’attenzione pubblica dalle vere magagne. È sempre stato così, oggi non siamo certo messi meglio.
L’episodio del drammatico investimento stradale a Roma ha suscitato uno scalpore direttamente proporzionale alla copertura giornalistica che ad esso è stata data e all’enfasi con cui si è puntato il dito verso l’appartenenza etnica dei responsabili. Un insieme di scelte a dir poco vergognoso e preoccupante.
L’odio indirizzato verso immigrati, musulmani e rom/sinti è una delle trappole più pericolose a cui siamo esposti. Non è un fatto casuale, non è il puro sommarsi di circostanze contingenti che poi generano una reazione spontanea delle persone. Si tratta invece di un classico prodotto egemonico, sapientemente costruito e veicolato, non estraneo alle fibrillazioni internazionali in corso.
Le trappole sono tante, del resto, e per lo più sono piazzate da chi ha le informazioni e le risorse per gestire con cognizione di causa la situazione, ovviamente a vantaggio di interessi costituiti, non certo in nome di chissà quali ideali.
Per fare un altro esempio, è evidente l’uso distorto e orientato che si fa delle evenienze elettorali europee, almeno dalle elezioni greche in poi. Le reazioni al voto amministrativo spagnolo di pochi giorni fa sono esemplari. Bisogna apprendere a osservare criticamente la scelta dei termini e dei temi, il filtro posto alle notizie, le cornici utilizzate, per evitare le trappole. E questo tipo di addestramento all’intelligenza, questa dotazione minima di anticorpi politici dovrebbero essere forniti dalla scuola, in primis.
La costruzione del discorso pubblico e l’orientamento dell’opinione di una parte consistente della cittadinanza (non importa se è maggioritaria o no) risultano compiti piuttosto facili, data la potenza dei dispositivi cui si può ricorrere e l’ignoranza diffusa. Il risultato è che spesso gli stessi apparenti oppositori al “sistema” sono i suoi migliori alleati.
Il discorso sul “populismo” è un altro esempio istruttivo. Si costruisce un concetto in cui racchiudere fenomeni diversi e per certi versi opposti, per enfatizzare quelli che più fanno comodo alla conservazione dei rapporti di forza e debilitare quelli più minacciosi (per i rapporti di forza che si vuole perpetuare).
Così il fenomeno di Podemos è associato indiscriminatamente ai populismi reazionari, al Movimento 5 stelle italiano o alle pulsioni anti-europeiste di matrice conservatrice, nazionalista e xenofoba. Lo stesso dicasi per l’indipendentismo, ormai schiacciato dentro una poltiglia concettuale che puzza di razzismo, chiusura culturale, localismo folkloristico, quando è storicamente accertato che per lo più i movimenti di liberazione delle nazioni senza stato sono una realtà dinamica, variegata e tendente piuttosto al versante anti-capitalista, di sinistra, anti-colonialista, ecc. o del tutto democratica (pensiamo allo SNP in Scozia).
Il motivo di fondo di tutto questo lavorio comunicativo è il consolidamento dell’egemonia culturale oggi dominante, quella che deve giustificare e far ingoiare alle sue stesse vittime la riduzione della sfera dei diritti civili, la precarizzazione del lavoro, l’assoggettamento dei beni comuni alla meccanica del capitale.
Il paradosso di tutto ciò, alla fin fine, è che per la maggior parte dei cittadini europei è molto più facile prendersela con i poveri, gli emarginati, i migranti, gli stranieri, che con i responsabili della loro condizione degradata.
Il fatto che in tanti non riusciamo a capire che la vera linea di faglia sociale e politica corra sull’asse alto/basso, ricchi/poveri, e ci sembri invece che i problemi riguardino cose costruite ad arte come “la casta” (ossia la pura rappresentanza istituzionale degli establishment economici locali, nazionali e internazionali, di suo perfettamente intercambiabile) o peggio gli immigrati (intesi come una categoria omogenea e pericolosa di per sé) o i musulmani (in quanto tali, senza distinzioni di sorta) o scempiaggini come il signoraggio, le scie chimiche o che so io, dimostra la facilità con cui sono manipolabili le coscienze e orientabili le reazioni individuali e collettive.
Il problema reale, di portata storica, è la diseguaglianza sociale e culturale, la pessima distribuzione della ricchezza e delle risorse, i danni inferti alla biosfera e al pianeta. Ha ragione Naomi Klein a segnalare che uno dei temi politici più centrali di questa fase storica è la questione del riscaldamento globale. Lì confluiscono i processi concreti di cui siamo parte e da lì è possibile osservare il mondo per come è e non per come ce lo propinano i mass media mainstream.
Non si tratta di questioni generalissime senza connessioni con la vita quotidiana delle persone. Le ricadute immediate sono evidenti. Pensiamo alla Sardegna e a quel che succede in questo periodo. Solo ieri è arrivato in visita il presidente del consiglio italiano (o ormai sarebbe meglio definirlo capo del governo) a caldeggiare la joint venture col fondo sovrano del Qatar, un soggetto finanziario straniero con le mani in pasta in un sacco di affari non sempre trasparenti. Curiosamente, in questo caso la fede islamica non sembra costituire un problema.
L’establishment sardo ha ovviamente mostrato tutta la propria deferenza e la propria gratitudine. In queste circostanze, per altro, risulta sempre di una evidenza empirica persino imbarazzante la continuità (negata a parole ma puntuale fino alle virgole) tra i governi regionali di centrodestra e quelli di centrosinistra. Anche queste, formule totalmente vuote di senso, puri feticci elettoralistici.
Le parole di Renzi, quelle con cui ha assicurato che “loro” a settembre si occuperanno della Sardegna, suonano come una minaccia nemmeno tanto velata. Da far correre un brivido gelido lungo la schiena. La cosa più disturbante è che proveranno a farci ingoiare la nostra sottomissione a interessi estranei e distruttivi come un grande regalo fatto dal buon padrone a noi miseri e indifesi sardignoli. E molti di noi gliene saranno grati.
Molti, ma non tutti. Cosa ne verrà fuori dipenderà, in Sardegna come in Europa e nel mondo intero, dalla capacità di un numero abbastanza consistente di persone di non farsi ingannare e di cercare sempre, in tutte le questioni, le radici materiali, i rapporti di forza reali, gli interessi che vi stanno dietro. Per questo serve istruirsi e per questo è doveroso rifiutare qualsiasi ridimensionamento dell’istruzione, qualsiasi deriva classista dell’accesso alle informazioni e la pretesa di farci delegare in tutto e per tutto a governi sostanzialmente incontrollabili le scelte fondamentali sulle nostre vite.
Non so se una risata li seppellirà, ma di sicuro più saremo consapevoli, istruiti e capaci di pensiero critico, meno avranno vita facile i disegni autoritari a rapaci dei padroni del pianeta.