Recensione: C. PORCEDDA, M. BRUNETTI, Lo sa il vento. Il male invisibile della Sardegna, Milano, Edizioni Ambiente, 2011

“L’ischit su bentu”, lo sa il vento, si dice in Sardegna, quando una risposta è impossibile da conoscere, o troppo imbarazzante per essere pronunciata. Lo sa il vento cosa sia il male invisibile della Sardegna, di cui si parla nel sottotitolo di questo libro. Un male che assume i tratti della malattia dello spirito, ma che ha cause molto materiali.

Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti sono due giornalisti free lance. Ossia, vivono del proprio lavoro senza essere organici ad alcuna testata. Sono liberi testimoni del nostro tempo, dunque. Una scelta già di per sé coraggiosa, anche in termini di (s)comodità economica. Il loro coraggio è confermato da quest’opera. Un reportage che affronta in termini unitari uno dei grandi problemi della Sardegna contemporanea: quello delle servitù. Non solo le servitù militari, ma anche quelle industriali e cementifere. E quelle spirituali. Un lungo, appassionante e sconvolgente racconto, pieno di fatti, di testimonianze, di voci e di silenzi, di dati e di ricostruzioni. La guerra in tempo di pace, le sperimentazioni, i veleni, il ricatto occupazionale, il clienelismo, l’ottusità politica, la devastazione ambientale, economica, sociale e culturale di vaste porzioni del nostro territorio sono presentati nei loro particolari, nei loro meccanismi e nei loro effetti.

È un racconto, certo, ma senza la minima concessione alla fantasia. Quel che c’è di romanzesco in tutta la narrazione c’è perché sono romanzesche le vicende narrate. Il che non significa affatto che non siano reali. Tragicamente reali.

Per chi si occupa di storia e di politica sarda non si tratta di notizie inedite: molto di quanto si riporta è già balzato agli onori delle cronache, o fa parte delle “cose che si sanno anche se non se ne parla”. Per chi invece in questi anni si è distratto o banalmente non conosca la Sardegna, la lettura potrebbe suscitare un vero choc.

È choccante ciò che si legge, ed lo è anche perché messo così, in fila, una storia appresso all’altra e tutto collegato, in un quadro generale che rende molto bene la situazione storica della Sardegna attuale. Questo è uno dei meriti fondamentali di questo lavoro: l’aver messo insieme dati, fatti, testimonianze solitamente sconnessi, separati, frammentati dalla contingenza della cronaca, sottratti alla corretta prospettiva. Che poi è sempre quella storica.

Lo sguardo unitario dunque è una delle intuizioni decisive di questo libro. L’horror tour, proposto come di solito proponiamo ai visitatori il catalogo delle nostre meraviglie, è una specie di doccia fredda sulla retorica dell’orgoglio sardo. Quell’orgoglio da nazione fallita, da popolo sottomesso, che ci fa passare di continuo dalla più bieca depressione per le nostre condizioni storiche all’autoesaltazione per le bontà e le bellezze della nostra terra, senza la minima consapevolezza di noi stessi nello spazio e nel tempo.

Trattandosi di un lavoro giornalistico, sia pure svolto con una passione e un trasporto anche umano che inevitabilmente traspaiono, da Lo sa il vento non ci si può attendere ciò che non è lecito attendersi da un lavoro di cronaca: la proposta di una soluzione ai problemi raccontati. Sarebbe ingeneroso e fondamentalmente ingiusto aspettarsi da questo libro l’apertura di prospettive politiche.

Nondimeno è un libro che interroga il lettore anche su quel piano. È inevitabile. La cornice concettuale in cui si inserisce la narrazione risente dell’egemonia culturale in cui siamo immersi e che tanti di noi hanno interiorizzato e ripropongono meccanicamente: il clichè della terra periferica e marginale, isolata e sempre dominata, perenne propaggine coloniale di qualcos’altro. Ma ne mette in luce anche alcuni elementi critici, ne rivela la struttura sottostante, erodendone in qualche misura la solidità.

Come tutti i discorsi di verità, quello che si legge in questo libro puà risultare fastidioso, duro, indigesto, ma anche salutare. Essere messi davanti alla cruda realtà, senza autoassoluzioni di comodo, senza facili vie di fuga, è importante, se vogliamo recuperare un minimo di dignità collettiva.

Non saranno mai le forze politiche e sindacali che dominano la Sardegna per conto terzi e per proprio vantaggio a squarciare il velo di falsità, menzogne, luoghi comuni e paura che tengono i sardi soggiogati. Ed è bello che invece a provarci siano un giornalista sardo “di ritorno” e una giornalista sarda di adozione ma non di nascita. Entrambi con l’esperienza di un altrove da mettere sul piatto, con uno sguardo non provinciale, non subalterno, da gettare sulla realtà sarda.

Uscito da qualche mese, e significativamente per una casa editrice non sarda, questo libro non è diventato un oggetto di grande discussione pubblica, né ha ricevuto recensioni sui mass media principali. Eppure è un libro di cui non si può fare a meno e a cui i lettori stanno comunque tributando qualche attenzione, sull’onda del passaparola. Merita di essere letto e di essere meditato, con una certa gratitudine.

Nessuno potrà accampare il pretesto di non essere informato, l’attenuante dell’ignoranza. A volte la risposta non è nel vento, ma nel coraggio di essere consapevoli di sé e di rivendicare non tutela o assistenzialismo, ma solo dignità, diritti e libertà. Noi lo sappiamo, cosa sia questo male invisibile eppure visibilissimo della Sardegna. E sappiamo anche quale sia la via di uscita da questo girone infernale nel quale ci stiamo rinchiudendo da noi. Si tratta di agire di conseguenza.