Sa batalla

Il cielo si rischiara ad oriente, oltre le mura. La campana di Santu Pedru suona le Lodi. Nei crocicchi e nella piazza del castello le tracce nerastre dei fuochi di San Giovanni, ultima festa celebrata con spirito di gaudio. Solo ieri si tenevano le processioni per i santi apostoli Pedru e Pàulu, con la mente rivolta al di là delle mura e alle notizie che da lì arrivavano, e ora un’altra processione, questa volta in armi, si avvia verso la porta principale. Sotto le grigie mura di Seddori, sfila l’esercito del zùighe. Va alla battaglia.
È l’alba del trentesimo giorno del mese di làmpadas.

Il priore sdentato benedice le file di frombolieri e balestrieri genovesi, le schiere dei fanti, mercenari, poi è la volta dei sardi, quindi dei cavalieri e infine del zùighe e della sua scorta. Aristocratici francesi, poco inclini a mescolarsi con le truppe che pure dovrebbero guidare.
Perché oggi ci sarà il giudizio di Dio. Martino detto il Giovane, re di Sicilia e infante d’Aragona, ha deciso di sfidare il nemico apertamente, di chiamarlo alla battaglia. Contro l’opinione di molti, Guglielmo di Narbona, per grazia di Dio e volontà della corona de logu di Arbaree signore delle terre sarde, ha accettato la sfida.

L’esercito catalano è accampato a sud-est. È arrivato da Casteddu de Càlari seguendo il corso del fiume Mannu, credendo così di attenuare l’arsura dell’estate campidanese. Sono meno numerosi dei sardi, questi catalani invasori e protervi, ma sono soldati esperti, hanno una terribile cavalleria corazzata, i famosi bacinetes, e hanno raccolto con sé alleati speranzosi di gloria e di bottino.
I catalani se li sono dovuti sognare per generazioni, la gloria e il bottino in terra sarda. Qualcuno di loro ha sperimentato la soca e la berruda solo pochi anni fa, combattendo contro Branca Doria, ed ora è incerto tra la voglia di rivalsa e il timore dell’ennesima sconfitta. Tutti ricordano la battaglia di Sant’Anna di quaranta anni prima. C’è qualche figlio e qualche nipote di chi laggiù, quasi alle porte di Aristanis, fu sconfitto e trucidato dalle truppe del fedifrago Mariane e di suo figlio Ugo, che brucino all’inferno!
Oggi non ci saranno prigionieri, oggi si dovrà decidere chi ha Dio dalla propria parte e merita il dominio di quest’isola terribile, benedetta e maledetta allo stesso tempo. Non ci sarà scampo né pietà per gli sconfitti.

Le schiere sarde raggiungono un basso poggio poco fuori l’abitato e là si dispongono, secondo gli ordini ricevuti. Di là di un avvallamento si intravvedono le insegne catalane. I quattro pali rossi in campo giallo e quella strana bandiera bianca con la croce rossa di San Giorgio e le quattro teste di moro mozzate nei riquadri, macabro vessillo, foriero di malaugurio.
Guglielmo di Narbona preferisce combattere sotto le insegne della sua casata, ennesima dimostrazione di disinteresse per i sentimenti dei sardi, cui pure ha giurato protezione e rispetto di leggi e tradizioni. I sardi non si fidano di lui e non vogliono altra bandiera che quella che li rappresenta tutti, dai castelli del Logudoro, alle montagne della Costera e delle Barbagie, dall’Arberee alla Trexenta e all’Ozastra, dal Sigherru alla Gaddura. La bandiera con l’albero della vita. La bandiera dei sardi. Che mai sia ammainata o perduta.

Il primo sole rischiara la spianata. La brezza mattutina solleva fili di paglia dorata e polvere pallida, annunciando un giorno torrido.
Intere generazioni di sardi sono cresciute e si sono dileguate nel tempo senza conoscere altro che la guerra contro gli invasori catalani. Le popolazioni sono stanche, accetteranno qualsiasi verdetto, basta che offra una tregua del sangue, una pausa nelle privazioni imposte dal conflitto. Pochi pensano a cosa possa significare la sconfitta, perché non l’hanno mai sperimentata, né chi è vivo oggi ha memoria diretta del giogo catalano, della legge feudale dei signori aragonesi, di cosa significhi essere stranieri e servi nella propria terra. Quei pochi si augurano di morire oggi, piuttosto che conoscere tali sventure.

Si odono squilli di corni. Un fremito percorre le schiere. I catalani spostano la cavalleria, come se non si attendessero che i sardi avrebbero accettato lo scontro aperto.
Ecco, ora è tutto pronto. Si fa silenzio, le bandiere si muovono appena, sulle loro aste. Il sole fa risplendere armi e armature. Tutto è pronto. Comunque vada, che nessuno dimentichi, che non sia vana la morte. Che nessuno dimentichi.

Su 30 de lampadas 1409, Sa batalla de Seddori