Il nuovo che arretra

Come al solito la Sardegna, lungi dall’essere fuori dalla storia, ne partecipa pienamente. La consorteria variegata che domina l’Isola gestendone risorse e consensi, muovendo voti, assecondando i piccoli appetiti per garantirsi la soddisfazione di quelli grandi, ha perso la bussola, pare.

I segnali che arrivano dagli esiti elettorali e referendari sono abbastanza univoci nell’indicare una rottura del patto tra i grandi centri di potere – di cui i partiti maggiori in Sardegna sono gli esecutori istituzionali e gli intermediari – e la cittadinanza.

Rottura già intuibile nella grande astensione delle elezioni regionali del 2009 e in quelle provinciali del 2010, tramutatosi in queste amministrative nel voto agli outsider, prima delegittimati poi mal digeriti dalle nomenklature di partito della loro stessa area politica.

Perché, parliamoci chiaro, la vittoria di Giovannelli a Olbia e di Zedda a Cagliari sono una sconfitta tanto del berlusconismo di casa nostra quanto del rovescio della stessa medaglia, il PD.

Fa specie vedere i rappresentanti di quest’ultimo menare vanto di un risultato che li smentisce nelle loro scelte tattiche e strategiche e li relega a un ruolo politicamente subalterno.

Il vento che soffia dalla Grecia al Maghreb, dalla Spagna alla Scozia e, attraverso Francia e Germania, fino ai paesi baltici, non ha risparmiato certamente il Mediterraneo, al centro del quale si protendono da una parte la Sardegna e più a oriente la penisola italica. Un vento che assume forza e direzione mutevoli a seconda della geografia e del contesto simbolico e politico su cui passa.

È la chiamata alle proprie responsabilità dei cittadini in quanto tali, il desiderio di influire direttamente sulle decisioni che riguardano tutti, a prescindere dai meccanismi evidentemente anacronistici della rappresentanza e della delega. Siamo forse in una di quelle fasi in cui è “la gente che fa la storia”, in cui d’un tratto “te li ritrovi tutti con gli occhi aperti che sanno benissimo cosa fare”.

È presto per dire se il vento sarà solo un accidente meteorologico passeggero o si trasformerà in uragano che spazzerà via modelli, connessioni di interessi, vincoli di potere, rappresentazioni collettive. I tempi storici non sono compatibili con quelli della stampa quotidiana. Tanto meno con quelli di internet.

Però sui fatti sardi qualche osservazione va fatta. Come già sottolineato, la Sardegna – e in Sardegna Cagliari e Olbia in particolare – è legata nelle sue componenti politiche e istituzionali alle dinamiche italiane.

Lo stesso immaginario dei sardi, sia pure a un livello elementare e superficiale, è decisamente conformato sui modelli televisivi e massmediatici italiani. Il vento di partecipazione popolare e di delegittimazione dei centri di potere dominanti ha dunque assunto una forma che ricalca tali modelli.

L’impressione è che si tratti solo di una fase transitoria, preludio ad una acquisizione di coscienza ulteriore. Se si smuove un’inerzia è difficile arrestare il moto così generato e le conseguenze non sono calcolabili.

Per adesso non sembra che le aspettative di cambiamento in Sardegna arrivino sino all’affermazione di una pulsione di emancipazione storica definita. Non sembra che la questione dell’autodeterminazione – pure presente nel dibattito politico – abbia avuto un ruolo nelle dinamiche in corso.

Può darsi che sia un limite di auto-identificazione dei sardi, o che in questo caso abbiano giocato fattori contingenti (si trattava di elezioni municipali e la eterogenea proposta politica indipendentista era o in fase calante o in fase nascente).

Il referendum in questo senso sembra dare un segnale diverso e forse più significativo, in quanto non promosso (per non dire boicottato) dai partiti italiani sull’Isola, eppure riuscitissima operazione di coagulazione di un consenso diffuso.

Insomma, nei prossimi mesi e nei prossimi anni si vedrà se i sintomi che si manifestano in questi giorni saranno temporanei oppure porteranno a mutamenti più radicali.

Le prospettive socio-economiche della Sardegna sono pessime, nonostante i tentativi di rassicurazione decisamente fuori luogo dell’egemonia massmediatica. Gli indici infrastrutturali sono penosi, attestandosi, nel computo aggregato, a 52 su 100 dell’indice generale italiano.

Infrastrutture strategiche come strade, ferrovie, porti, ecc. sono a un livello disastroso. La disoccupazione giovanile è tra le più alte d’Europa. La dipendenza da centri di potere economico e politico esterni è sempre più marcata.

Difficile che questa situazione possa essere tenuta sotto controllo tramite la categorie interpretative dell’ideologia dominante. Il che significa che non basterà un giovane sindaco di sinistra (italiana) a Cagliari a cambiare le cose.

Tuttavia non si può sostenere che la vittoria di Zedda a Cagliari sia tutto sommato equivalente a una vittoria di Fantola. Non è così per il segnale politico generale di cui è portatrice e non è così per le evidenti distanze di prospettive e di programmi tra i due schieramenti (almeno sulla carta).

Bisognerà lavorare affinché la voglia di mutamento anche drastico da essa rappresentato si traduca presto in soluzioni realmente liberatorie ed emancipative a tutti i livelli.