C’è un’emergenza, in Sardegna. Qualcosa che non lascia dormire sonni tranquilli ai nostri poveri governanti locali (per conto terzi). Un problema epocale, strutturale, fondamentale. La televisione.
Il problema non consiste nel ruolo antagonista e di controllo dell’informazione televisiva, il famoso “quarto potere” di wellesiana memoria, bensì nell’indebolimento della TV come strumento di dominio delle coscienze.
Risulta infatti che, con l’imposizione di quella schifezza obsoleta del sistema di trasmissione televisiva digitale, le emittenti locali rischiano di non avere più il loro posto privilegiato nei telecomandi, lasciando i poveri teleutenti in balia di complicate ricerche dei loro gazzettini preferiti.
Una questione decisiva, effettivamente. Se non altro per gli equilibri dell’Egemonia che ci domina. Tanto decisiva che se la stanno prendendo a cuore, con ben diversa verve rispetto ad altre questioncelle tipo il lavoro, l’ambiente o le infrastrutture, tanto esimi parlamentari sardi in Italia, quanto lo stesso governatore della Regione Autonoma, Ugo Chi?.
La faccenda minaccia di ingenerare un pericoloso vuoto tra le fonti di controllo dell’opinione pubblica. Senza la pervasiva costruzione di un immaginario collettivo perfettamente ancorato alle logiche del potere politico, affaristico e clientelare che ci governa, i sardi rischiano di dover guardare a ciò che li circonda con occhi vergini, con lo sguardo libero. Il vuoto lasciato nelle menti dalla abile costruzione ideologica veicolata dalle TV locali potrebbe essere ad un certo punto colmato da un pensiero critico, indipendente. Pericolo da evitare a tutti i costi!
Non so se il meccanismo sia così lineare. No lo credo. In fondo, i sardi guardano comunque moltissima TV e quasi esclusivamente TV italiana. Il che fa di loro un perfetto esempio di vittime del sistema di controllo sociale impostato sin dagli anni Ottanta e portato a compimento (lasciamo stare come e con quali strumenti) negli anni Novanta del secolo scorso da Berlusconi. Tanto più che da noi è ancora deficitario l’accesso a internet (non perché non vi sia una domanda in tal senso, ma perché, coerentemente, fino ad oggi si è evitato di potenziare adeguatamente la banda larga e la capacità di connessione dei cittadini).
In ogni caso, non pare proprio che, se i sardi dovranno faticare un po’ di più a trovare le loro emittenti locali sul telecomando, la cosa possa configurare una catastrofe sociale e/o culturale. Né sembrano ben spese tante energie in favore di un oligopolio informativo tutt’altro che democratico e pluralista.
Dispiace se la cosa avrà conseguenze su qualche busta paga (a pagare sono sempre i lavoratori, ovviamente), ma nell’insieme la faccenda può anche rivelarsi un modo efficace – anche se casuale – di far lievitare almeno un poco il livello di consapevolezza diffuso.