Rebus sic stantibus

Riporto di seguito un testo dell’amico Nello Cardenia, di Alghero. E’ un’efficace sintesi della nostra condizione storica, che sollecita una riflessione seria e onesta, lasciando poche scappatoie retoriche e/o politiche.

Inutile dire che lo sottoscrivo in pieno.

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«Atteso, sperato, sofferto e combattuto. Ma il via libera è arrivato, ieri, da Roma: il Cipe (comitato interministeriale per la programmazione economica) ha messo la prima firma sui 162 milioni che metteranno le ali al raddoppio della Sassari-Olbia con l’avvio di due lotti (su nove). Oggi il round definitivo: la delibera informale diventerà documento ufficiale».

Questo quanto riportato dall’Unione Sarda di oggi. Su questa vicenda ho scritto più volte e non è il caso che sottolinei quanto il calvario della Sassari-Olbia sia emblematico nel rappresentare il fallimento dell’Autonomia e della sua classe dirigente. La Sardegna, secondo i dati ISTAT è la “regione” più povera dello Stato italiano.

In un contesto macroeconomico internazionale che baserà l’uscita dalla crisi sul rilancio dei consumi cinesi, l’Isola presenta il più brusco calo delle esportazioni rispetto alle regioni italiane (è bene ricordare che circa il 60% delle nostre esportazioni riguarda prodotti petroliferi!). Il Sole24ore di oggi pubblica in un inserto un’inchiesta sulla grado di innovazione in Europa, e la Sardegna viene inserita negli ultimi posti.

Siamo tutti a conoscenza della drammatica situazione in cui versano la chimica e l’industria. Le forze sindacali individuano nell’insularità l’asse strategico su cui far leva per rilanciare lo sviluppo dell’Isola e per regolare il nuovo rapporto giuridico con lo Stato italiano. Rinascita e Autonomia. Le parole di sempre.

Abbiamo inoltre appreso che non esiste una procedura che disciplini il passaggio delle entrate fiscali concordate da Soru con il governo Prodi nel 2006. Quindi niente soldi anche perchè l’Italia non ne ha e la conseguenza è…nuovi debiti per la Sardegna.

Questo è un piccolo sunto della situazione. Né Soru prima né Cappellacci ora, possono porre rimedio a questo stato congiunturale in quanto basano il loro agire politico, seppur con delle nette differenze, dentro un quadro normativo e politico che riproduce esattamente tutti i problemi sopra riportati.

L’Autonomia è finita. Di questo bisogna prendere atto se si vuole iniziare a ragionare sui tempi che verranno. Siamo stati catapultati dentro una nuova era politica, ovvero quella della “post-Autonomia”, ma sembra che a molti questo passaggio sia sfuggito. Non sto invitando chi legge queste mie considerazioni ad abbracciare l’indipendentismo come un mantra.

Ma ritengo necessario che tutti ci rendiamo conto che una stagione è finita (l’Autonomia) e che se ne apre un’altra in cui dobbiamo essere noi a decidere del nostro futuro (l’Indipendenza). Da regione e Repubblica. Questo è il mutamento positivo. In gioco c’è il diritto del popolo sardo allo sviluppo e non il futuro dello Stato italiano. Il processo graduale, democratico e non violento da mettere in moto è quello che conduce al trinomio sovranità-sviluppo-benessere.

I settori chiave su cui oggi è necessario costruire la Sardegna del futuro sono tre: energia/infrastrutture, fiscalità e conoscenza. Su queste variabili non è chiaro cosa abbia in mente l’attuale classe dirigente sarda. Quello che traspare è una decisiva assenza di progetto. Insomma si naviga a vista facendo la spola tra Cagliari e Roma nella speranza di ricevere qualche aiuto dalla Stato italiano, senza considerare nessuna alternativa di sistema.

Il rapporto tra sovranità e sviluppo investe in pieno il campo delle possibilità che la Nazione sarda vuole darsi per il futuro. Esprimendo piena sovranità su questi tre settori potremmo iniziare a costruire quella nervatura strutturale che sessanta anni di Autonomia non ci ha permesso di mettere in opera. E da qui partire per pianificare politiche di sviluppo le cui norme di attuazione siano controllabili e operabili direttamente da noi; iniziando a creare un’ alternativa di sistema all’attuale forma giuridica della Sardegna.

Come pretendiamo di pianificare il nostro futuro con gli strumenti che abbiamo oggi? Strumenti che ci escludono di fatto dai processi decisionali in sede europea, dal controllo diretto delle nostre risorse fiscali, finanziarie ed energetiche? E’ questo il nodo centrale della politica sarda.

Ma è un nodo irrisolto e scomodo da sciogliere per tutti quei partiti che hanno fatto politica in Sardegna con l’idea che l’Autonomia fosse la strada giusta (anzi l’unica possibile), che hanno raccontato ai sardi dell’esistenza di “governi amici” di destra e di sinistra e che infine hanno svuotato la sovranità del popolo sardo dentro le correnti dei partiti (a volte partitini) italiani.

Su facebook vedo che sta montando l’idea di un No-Cappelacci Day. Questa iniziativa serve solo a fare opposizione in Sardegna per guadagnarsi i gradi di generale in Italia. Una volta mandato via Cappellacci forse si farà la Sassari-Olbia? Avremo maggiori entrate fiscali? Diversificheremo le nostre esportazioni? Non sono certo un sostenitore di questa giunta, né tanto meno ne approvo le linee guida. Piano Casa in primis. E ben vengano tutte quelle mobilitazioni volte a contrastare leggi come questa.

Ma è realisticamente fuorviante dire che la Sassari-Olbia non si fa perché Cappellacci è il burattino del premier italiano o che i mali della Sardegna sono originati da questa giunta. Quanti burattini di sinistra, cattolici, liberali abbiamo avuto nel passato?

Questa opera non si realizza perché non esercitiamo sovranità sulle nostre risorse; perché la Nazione sarda non esprime una sua classe dirigente come succede in Catalunya, Scozia, Paesi Baschi, nazioni in cui il sistema politico è centrato sulla condivisione di un’appartenenza nazionale prima che politica da far pesare poi nei rapporti di forza nei confronti di Spagna e Regno Unito; perché manchiamo di coraggio nel prenderci in mano il nostro destino. Ci vorrebbe un “Yes We Can… Sardinians Day”.

Se al posto della “Vertenza sulle entrate” avessimo istituito la Cassa delle Entrate Sarda – con cui avremmo raccolto le nostre tasse e restituito a Roma quanto sancito dalla Costituzione italiana – saremmo oggi a questo punto? Di questo dovremmo discutere. Quali regole, quale forma giuridica ci vogliamo dare come Nazione e quali politiche di governace vogliamo implementare per la gestione dei nostri beni collettivi (acqua e vento per esempio).

Il nostro futuro è dentro processi di scelta di cui dobbiamo essere consapevoli come cittadini. In questo periodo sembra che il centrodestra e il centrosinistra in Sardegna abbiano scelto la via del silenzio assenso verso uno status quo che è diventato drammatico.

Da parte loro non esiste nessuna presa di posizione forte e nessun progetto serio che metta in discussione il rapporto che lega Sardegna e Italia. Tutti vogliono riscrivere lo Statuto, ma mi chiedo se siamo tutti d’accordo che la fonte normativa ultima della nostra sovranità risieda in tre elementi: la Nazione Sarda, il popolo sardo che ne è espressione e il Parlamento sardo che democraticamente lo rappresenta. Oppure sarà la (bellissima) Costituzione italiana la nostra norma fondante?

Giovanni Lilliu scrive nella prefazione del suo ultimo libro che ogni giovane sardo che voglia far politica o immaginare un futuro diverso per la nostra Isola deve ripartire dalla Nazione sarda. Perché solo in questo modo avremo le ali per volare nel vasto mondo. Questo è il nostro destino. Da repubblicano democratico sardo lo abbraccio.

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Articolo originale su: http://sardegnamondo.blog.tiscali.it/2009/12/17/rebus_sic_stantibus_2025156-shtml/