Sempre la stessa storia

Dice che ripetere fa bene. Sì, d’accordo, ma in Sardegna abbiamo l’abitudine ad applicare questa massima in modo troppo esteso. Anzi, a dirla tutta, quel che si replica di solito sono gli errori e le peggiori nefandezze del nostro passato, recente e meno recente.

Come pochi sanno, la Sardegna ha un indice di infrastrutturazione tra i più bassi d’Europa. Se consideriamo solo la rete stradale, nel 2001, fatto 100 l’indice di infrastrutturazione stradale italiano, la Sardegna si fermava a 63. Nel 2007, sempre rispetto a 100, eravamo scesi a 43. E non certo perché siano state distrutte le poche strade che già c’erano, sull’Isola. Solo che, come è inevitabile, gli investimenti (pochi e maldestri) dello stato italiano su questo settore sono andati avanti sulla penisola e hanno del tutto trascurato la Sardegna. Non per malignità, ma per un semplice calcolo del rapporto costi-benefici.

In questi giorni siamo in attesa che si sblocchino i fondi per mettere mano alla “strada della morte” (come viene enfaticamente denominata), la famigerata Sassari-Olbia. Un asse stradale molto trafficato che per lunghi tratti somiglia a una strada di penetrazione agraria, o poco più. Dovrebbe essere il comitato ministeriale preposto (il CIPE) a decidere su questo finanziamento. Il facente funzioni a capo della giunta regionale, Nichele Cappellacci, ha già menato vanto della vittoria, quando qualcuno a Roma, giorni fa, gli ha promesso che ci avrebbe pensato su. Fatto sta che il termine stabilito per la risposta definitiva è già sfumato e per la Sassari-Olbia non è arrivato nemmeno un centesimo, mentre lo stesso CIPE ha trovato il tempo e il modo di scucire 5 miliardi di euri per Milano (fonte Corriere della Sera di oggi, venerdì 6 novembre), città notoriamente priva di infrastrutture essenziali. Ma ci siamo abituati: dalle nostre parti non si muove foglia che il padrone non voglia. E il padrone, lo sappiamo, non siamo noi.

Contempraneamente, il “governo amico” decide di tagliare i fondi per l’estensione della banda larga, ovverosia destinati a diffondere la connettività alla Rete sulla parte di territorio statale ancora scoperta. Anche in questo caso si tratta di una infrastruttura essenziale e anche in questo caso la Sardegna si ritaglia il suo bel posticino in fondo alla classifica in Europa. Ma non risulta che ci siano state levate di scudi da parte dei nostri proconsoli sull’Isola e dei nostri rappresentanti a Roma. Del resto, sono stati nominati per obbedire, mica per fare gli interessi colelttivi dei sardi.

Qualche flebile vocina si è sollevata, tuttavia, per contestare quella che potrebbe essere una boutade di cattivo gusto, ma che ci vuol poco a trasformare in una misura operativa, sol che a Roma o ad Arcore si decida in tal senso. Sto parlando della brillantissima idea di riaprire il carcere dell’Asinara. Una vera asinata (con tutto il rispetto per i simpatici equini). Non dubitiamo che, se riceveranno indicazioni cogenti in tal senso, anche i più riottosi dei nostri politicanti in quota ai partiti italiani si allineeranno compatti.

Intanto procede l’operazione GALSI, il mega progetto che prevede il transito di un grande gasdotto che dall’Algeria porti il metano fino all’Italia attraverso la Sardegna. Si dirà “ecco finalmente una grande infrastruttura anche sull’Isola”. Sì, peccato che non sia destinata a fornire il gas ai sardi. Tutta l’operazione comporterà uno sventramento per il lungo, da sud-ovest a nord-est, dell’intera Sardegna, con relativi danni a terreni agricoli o ad aree di interesse ambientale e/o archeologico. Ma questo sarebbe addirittura il minimo, se ci fosse la garanzia che i sardi (famiglie, imprese, enti pubblici) potranno usufruire del metano algerino. Tale garanzia non esiste, nei fatti. Anzi, in alcuni centri abitati (per esempio Nuoro) la rete di tubi per la distribuzione del gas alle utenze domestiche è stata progettata per condurre l’aria propanata ed è inservibile per il metano. Un piccolo inconveniente tecnico pressoché irrisolvibile. Che sfortuna! In compenso, nei pressi di Obia, sorgerà una bella centrale di compressione (credo  si chiami così), dall’impatto ambientale tutt’altro che trascurabile e dai rischi evidenti per l’area pesantemente antropizzata in cui dovrà operare. Ma va be’, non è che possiamo sempre avere la botte piena e la moglie ubriaca! Potrebbe anche darsi però che la moglie sia astemia e la botte asciutta. Ma forse è solo pessimismo co(s)mico, il mio…

Insomma, ecco come siamo messi. Sembrano lontani i tempi dell’editto delle chiudende e delle speculazioni straniere, della chiusura doganale dei commerci con la Francia e dei fallimenti bancari: tutta robetta dell’Ottocento. Eppure, a ben guardare, anche allora c’era chi propugnava l’autonomia della Sardegna come rimedio salvifico e guardava all’Italia come al solo orizzonte di riferimento culturale e politico possibile, e intanto c’era chi faceva affari qui da noi alla faccia nostra. In questo modo la Sardegna si guadagnava il ruolo di terra più arretrata, deprivata e spopolata d’Europa.

Mi sa che qualcuno anche oggi vorrebbe emulare tali tristi primati. D’altra parte, si dirà, bisognerà pur eccellere in qualcosa no?