Recensione: M. MURGIA, Viaggio in Sardegna, Torino, Einaudi, 2008

Michela Murgia traccia le rotte per undici possibili viaggi in Sardegna, smentendo o reinterpretando sia le aspettative fondate sui luoghi comuni legati all’Isola, sia le suggestioni e i resoconti di tanti osservatori, per lo più stranieri, che della Sardegna hanno reso testimonianza. Ma anche mettendo in discussione alcuni punti di riferimento culturali assurti al rango di dogmi (Emilio Lussu e il suo sardismo anti-sardo), o smontando la messinscena folkloristica di certa “sardità prèt-à-porter“, di certe trovate agri-turistiche finto-genuine. O ancora ridimensionando non la portata letteraria ma la rappresentatività di un monumento come Grazia Deledda, e segnalando impietosamente certe pulsioni auto-castranti ancora abbastanza diffuse tra i sardi.

Si tratta di una guida, dunque, non strettamente turistica, anzi per certi versi anti-turistica. Ma comunque una guida, utilizzabile per crearsi itinerari insoliti alla scoperta delle tante Sardegne misconosciute eppure vere e viventi che compongono il nostro piccolo continente. In una fase storica di transizione come quella presente, i sardi fanno fatica a pensarsi fuori dagli stereotipi consueti ma ormai anche a difenderli ancora come unica chiave di lettura possibile di sé. Quella di Michela Murgia è una voce contemporaneamente sarda, consapevole del mondo e di sé stessa, e libera. Come tale, più che al politicamente corretto, attenta a tutto ciò che di significativo (in tutti i sensi possibili) la Sardegna può offrire ad un viaggiatore curioso, da qualsiasi parte del mondo provenga. La prospettiva aperta, non autoreferenziale, è una caratteristica abbastanza nuova di questo testo, se non altro nuova per un testo sardo. Non uno sguardo da esiliato incompreso, come quello di molti autori sardi autoproclamatisi unici testimoni della sardità, per lo più portatori di un malinteso desiderio di emancipazione, bensì quello di chi ha finalmente metabolizzato la propria storia e la propria appartenenza senza farne un feticcio ingombrante e nemmeno rinnegarle. La leggerezza della scrittura rende agevoli anche temi difficili. L’ironia, a volte sottesa, tradisce lo sguardo disincantato di chi non si fa ingannare dall’amore per la propria terra.

Con tutto ciò, si possono perdonare come peccati veniali alcune imprecisioni e qualche dato non del tutto corretto (una data, una ricostruzione storica, un riferimento geografico), a volte chiaro frutto di refusi non emendati in sede di editing (problema diffuso e in qualche misura inevitabile, in caso di testi sardi riletti e curati da non sardi) e sfuggiti alla verifica sulle bozze. Poco male. La perfezione non esiste, fortunatamente.

Michela Murgia si conferma dunque una scrittrice versatile e padrona del medium utilizzato (molto di più di tanti celebrati autori amati dalla critica, sardi e non sardi). Questo è già tanto. In attesa di prove diverse, magari più impegnative, accontentiamoci della freschezza e del senso di liberazione offertici dalla sua voce sincera.