La rivoluzione regressiva avviata subito dopo il 1989, quando ancora nominalmente esisteva l’URSS ma era in fase terminale, si prospetta di creare uno scenario mondiale in cui siano preservate e rafforzate le posizioni di potere dell’elite che già oggi detiene il controllo diretto o indiretto delle risorse scarse del nostro pianeta. In questo quadro generale rientrano, come strumenti o come corollari, i macrofenomeni più evidenti del nostro tempo: concentrazione delle risorse finanziarie e produttive; polarizzazione sociale e radicalizzazione dei conflitti interetnici e/o interreligiosi; disinformazione sistematica tramite controllo o condizionamento dei mass media; destrutturazione degli ordinamenti giuridici in funzione del depotenziamento delle democrazie e dello svuotamento dei diritti civili e politici; economia di guerra; oscurantismo etico.
Quelli che noi europei consideriamo dei valori indiscutibili, addirittura connaturati all’uomo – tanto ovvi da essere riconosciuti e protetti (non “istituiti”) dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dal trattato costitutivo dell’ONU, nonché dai singoli ordinamenti statali – sono invece il frutto della componente progressiva ed emancipativa della Modernità. Una felice parentesi nella storia dell’umanità ha fatto sì che nell’Europa del XVIII secolo si imponessero quelle idee di libertà, giustizia e uguaglianza che, per vie spesso casuali, comunque contingenti, hanno permeato gli ordinamenti giuridici e l’immaginario stesso delle popolazioni europee contemporanee. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta appunto di una parentesi. Quando esimi esponenti delle gerarchie cattoliche, o analoghi personaggi del mondo protestante, e persino “atei devoti” convertiti alla causa della fede, pretendono che siano difese ad ogni costo le radici giudaico-cristiane della civiltà europea, fingono di riferirsi ai principi che garantiscono i nostri diritti civili e politici, invece auspicano un ritorno all’oscurantismo pre-illuminista, con annessa negazione radicale di qualsiasi conquista civile ottenuta negli ultimi tre secoli. Non esisterebbe un’Europa libera e democratica (e sappiamo quanta fatica sia costato erigerla) senza la negazione di qualsiasi pretesa egemonica da parte di una fede o di un’ideologia. La vituperata laicità consiste nella difesa di questo distacco dalla faziosità fideistica. È l’unico strumento che garantisca la libertà di tutti.
Ecco perché mettere sullo stesso piano la difesa della laicità e quella della fede religiosa, come fossero due squadre sul campo di uno stesso gioco, è scorretto (prima ancora che sbagliato): la laicità (dello stato, delle istituzioni sovranazionali, degli ordinamenti giuridici, ecc.) non è un giocatore, è l’arbitro. È la condizione di base perché anche il diritto a esercitare la propria fede religiosa possa avere esito concreto. Alla pari di quello di non esercitare alcuna scelta di fede.
Ma la radicalizzazione dell’attacco alle conquiste della Modernità mette in discussione i fondamenti stessi del nostro modello di convivenza, ossia la libertà di scelta fondata sulla libera circolazione delle conoscenze e delle informazioni e il pluralismo intellettuale, morale e politico. Il tutto all’interno di un disegno di oppressione e controllo che non ha precedenti, per mezzi e dimensioni, nella storia umana.
Le conquiste della Modernità non sono assolute né sempiterne. Sono il frutto effimero di condizioni storiche particolari che la storia stessa può mettere in discussione in un modo o nell’altro. Ma dentro la storia ci siamo anche noi. Sapere, divulgare, confrontarsi, salvaguardare la libertà sostanziale nostra e altrui sono mezzi di difesa estrema, in frangenti di oscurantismo e oppressione. Non è affatto detto che bastino. Ma non provarci sarebbe meschino e poco dignitoso, se vogliamo che abbia un senso il nostro breve passaggio sulla terra.