Cos’è la Storia?

Tutti presumono di sapere cosa sia la Storia, se non altro per averla odiata sui banchi di scuola. In realtà non è facile dare una risposta convincente al quesito, perché in genere entrano in gioco sensibilità e propensioni personali che pregiudicano l’obiettività della definizione. Data per scontata la natura approssimativa di ogni tentativo in questo senso, sforziamoci di essere almeno chiari.

Cominciamo con lo sgombrare il campo dalle definizioni che non mi convincono e non condivido.

1) La Storia come mera elencazione di avvenimenti, di date, di nomi. Questo può essere tutt’al più il livello “evenemenziale” del discorso storico. Sotto le scelte politiche, dietro le guerre e le devastazioni o i progressi di questa o quella comunità umana ci sono processi fondamentali, spesso di lunga durata, meno evidenti e “spettacolari” ma più significativi. Sto parlando della vita concreta, delle possibilità materiali, di circostanze naturali, economiche, culturali che muovono e vincolano il genere umano nel suo complesso e nelle sue articolazioni parziali. In altre parole, del livello “strutturale”. Non dovrebbe la Storia affrontare prima di tutto questo livello del discorso?

2) La Storia come la vivificazione fattuale dello Spirito, entità trascendentale e al contempo immanente, che pervade e conforma la realtà così come la percepiamo. Questa è la visione idealista e storicista, cui si rifà per esempio Benedetto Croce. Ma è un’accezione fondamentalmente retorica e a-scientifica di Storia, che tra l’altro non tiene conto di un dato evidente: l’universo non coincide con l’esperienza umana, perciò interpretarlo semplicemente come lo sviluppo di una proiezione della nostra specie (lo Spirito, ma si potrebbe anche dire Dio) è arbitrario e parziale. E’ un’accezione retorica e a-scientifica, perché utilizza categorie astratte, costruzioni sintattiche prive di referente, asserzioni non verificabili né falsificabili. Inoltre non dice niente sui processi storici così come si verificano, né sulle componenti strutturali delle dinamiche interne ad essi.

3) La Storia come il racconto del passato finalizzato al nostro ammaestramento etico (historia magistra vitae). Intanto, per lunga che sia la tradizione storica occidentale, non risulta che essa abbia mai scongiurato il ripetersi di orrori e catastrofi, di crudeltà e sofferenze. Ma c’è anche un’obiezione metodologica basilare: dall’osservazione scientifica della realtà non si possono trarre direttamente argomenti etici. Se studio un fenomeno (che sia fisico, sociale, biologico non importa) posso legittimamente stabilirne i contorni, verificarne la regolarità o l’eccezionalità, cercare di riprodurlo per analizzarne i processi interni, usarlo come base per una teoria anche molto complessa, a sua volta suscettibile di verifica critica, ecc. Ma da tutto ciò non posso trarre precetti morali, se non in modo arbitrario. Anche per la Storia è così. Come storico posso stabilire che nel corso del XIX secolo c’è stato un grande sterminio di nativi americani nel territorio corrispondente agli Stati Uniti d’America. Questo è un dato, documentato, verificato, criticato, quantificato, ecc. Che io trovi eticamente ripugnante tale fenomeno storico è un giudizio di valore che non entra nel discorso della mia ricerca. E’ un cambio di prospettiva che non ha più niente di scientifico. Le conclusioni politiche o morali (soggettive, arbitrarie e non “falsificabili” per loro intima natura) basate su dati scientifici e/o storici devono giustificarsi con i propri strumenti e i propri argomenti, non con i fenomeni da cui prendono spunto, che come tali sono eticamente neutri.

4) La Storia come erudizione documentaria. Lo storico sarebbe dunque il classico topo da biblioteca (o meglio, da archivio), in grado di leggere un diploma carolingio del IX secolo o lo statuto del porto di Cagliari del XIV. Sarebbe colui che trova, analizza e pubblica i documenti ufficiali di un’entità politica oppure rende conto delle testimonianze scritte del passato. Per molti in questo consiste ancora il “mestiere di storico”. Ma la vita umana associata non produce solo documenti scritti (pubblici o privati che siano), bensì anche culture materiali, tradizioni etiche, migliaia di lingue diverse, usanze e costumi disparati, concezioni del mondo, orizzonti di senso più o meno ampi, religioni, simbolismi, ecc. Può uno storico legittimamente ignorare tutto ciò? Ovviamente no. Dovrà attingere a tutte le branche in cui per comodità di studi abbiamo diviso il sapere umano, comprese le scienze naturali e matematiche. Lo storico dovrebbe essere un meta-scienziato, una sorta di onnisciente e onnivoro osservatore della vita degli uomini.

La Storia sarebbe dunque una scienza? Qui entriamo nel vivo del discorso.

Sì, la storia è una scienza. Una scienza il cui oggetto è l’uomo, anzi, gli uomini. E’ la “scienza degli uomini nel tempo” (L. Febvre/M. Bloch). Non sono quindi i fatti e i fenomeni umani di per sé ad esser Storia ma il loro studio da parte nostra. Al di fuori dell’approccio critico e della sottomissione alla discussione dei suoi esiti, esiste la memoria individuale e collettiva, esistono le varie culture umane, esistono i fenomeni e i processi, esistono i documenti, ma non esiste la Storia. Come scienza, essa soffre di quell’inevitabile grado di approssimazione di cui soffrono tutte le scienze, anche quelle fisiche (basti pensare alla relatività di Einstein o alla meccanica quantistica). Il grado di approssimazione della scienza storica è maggiore perché il suo oggetto siamo noi stessi. Ma è una differenza quantitativa, non qualitativa e il rigore richiesto dalla ricerca storica non è (non dev’essere) minore di quello inerente la ricerca fisica o astronomica. I suoi esiti devono essere costantemente sottoposti a critica e, quando il caso, rivisti e persino ribaltati, ossia “falsificati”.

La Storia, però, ha anche un ulteriore aspetto fondamentale, che per le altre scienze è invece accessorio. E’ l’aspetto narrativo: quella che comunemente si chiama Storiografia. Alla ricerca ed ai suoi risultati segue necessariamente la loro raccolta e la loro esposizione in forma narrativa. Anche questo aspetto della scienza storica deve essere affrontato con rigore e correttezza, ma in più esso deve tendere ad un alto livello di efficacia comunicativa, perché il suo scopo possa dirsi raggiunto. Un testo storico mal scritto, che non riesca a trasmettere al lettore o all’ascoltatore non specialista il proprio contenuto in termini al contempo comprensibili e corretti non è un buon testo storico. Purtroppo ne esistono molti di questa specie e sono la causa prima dell’ostilità con cui la Storia viene considerata dai più. Questo è ciò che intendo io per Storia ed è l’accezione a cui mi rifarò in queste pagine.

Bibliografia

BLOCH M., Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1998;

CHABOD F., Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 1969;

LE GOFF J. (a cura di), La nuova storia, Milano, Mondadori, 1980;

NIETZSCHE F., Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Milano, Adelphi, 1973.