Dobbiamo fare i conti con la realtà. L’emergenza COVD-19 ci mette di fronte alle nostre debolezze e alle nostre paure, ma anche alle nostre responsabilità.
Se siamo colonia, dobbiamo esserlo fino in fondo e in modo serio. Non vanno bene il pressapochismo, le cose fatte a metà.
E non vanno bene neanche la recriminazione, la lagna biascicata; meno che mai i tentativi di sfangarsela sfuggendo al proprio dovere.
Il silenzio attonito e l’assoluta inerzia della politica sarda, in questi giorni, sono vergognosi.
Chi occupa ruoli decisionali e cariche istituzionali, nell’isola, è stato selezionato/a apposta per svolgere un compito delicato. Ora è chiamato/a a farlo con dedizione e anche con piena rivendicazione di tale ruolo.
Se in tempi ordinari ci si può dedicare spensieratamente a conquistare spazi di potere clientelare, posti di sottogoverno, a scambiare favori, sistemare familiari e amici, predisporre vantaggi egoistici futuri, e tutto rigorosamente a spese dei contribuenti, in tempi straordinari deve riemergere il vero motivo per cui esiste la nostra classe politica: garantire la piena disponibilità della Sardegna a qualsiasi esigenza dei padroni.
Suona scandalosa la ridicola pretesa del presidente Solinas (la cui esistenza da qualcuno viene ancora messa in dubbio) di chiudere la Sardegna agli arrivi dall’esterno.
A parte che ci siamo già vicini, grazie alla preziosa opera sua e dei suoi predecessori, in questo momento l’esigenza è del tutto opposta.
L’isola è grande e nel corso dei decenni si è provveduto sapientemente a svuotarla dei suoi abitanti. C’è tanto spazio per tutti.
Anzi, se c’è un appello da fare è ai molti sardi emigrati, per studio o per lavoro che sia: non tornate! lasciate i mezzi di trasporto a disposizione dei cittadini di serie A!
La Regione Sardegna dovrebbe organizzare l’isola in due grandi ambiti territoriali differenziati.
Uno in cui ospitare confortevolmente i sani, in fuga dall’epidemia; un altro da adibire a grande ospedale diffuso per tutti i contagiati italiani ma direi anche degli altri paesi della NATO.
Se nel farlo dovremo sacrificare i nostri anziani, i nostri malati tumorali, i nostri concittadini immunodepressi e/o affetti da patologie croniche e/o degenerative come diabete, anemia mediterranea, sclerosi multipla, ecc., be’, sarà un prezzo non troppo alto da pagare.
Direi che potremmo anche metterci a disposizione per ogni possibile sperimentazione farmaceutica e medica, già che ci siamo.
Se poi diventeranno necessarie altre misure emergenziali o altri sacrifici da appioppare a qualcuno, mi pare doveroso rivendicare il privilegio di essere sempre e comunque in prima fila.
Naturalmente, le residue risorse dell’isola, a partire da quelle agro-alimentari, dovranno essere destinate al sostentamento dei nostri ospiti.
Idem per quanto riguarda l’energia, i beni di consumo non alimentari e anche direi i beni voluttuari.
Non si tratta di solidarietà umana, né di senso di vicinanza e di empatia verso nostri consimili sfortunati. Sarebbe troppo banale e fin troppo paritario. Rischieremmo di montarci la testa.
Si tratta invece di rendere apertamente attive e operanti la nostra subalternità e la nostra condizione dipendente. Senza pretese di gratitudine, senza nemmeno potercene attribuire alcun merito.
Basta con l’ipocrisia. Perché ostinarsi nella finzione della democrazia? Non ce la possiamo più permettere.
Fa tenerezza la nostra classe politica costretta a recitare, ormai fuori tempo massimo, la parte della classe dirigente, il ruolo di rappresentanti del popolo e di responsabili delle scelte di governo.
Non fa per loro, dovremmo averlo capito. Solleviamoli da questa penosa incombenza e consentiamo loro di essere se stessi.
Più dignitoso mostrarsi senza remore per i mediocri arrivisti senza arte né parte che si è, che perpetuare una recita così maldestra.
I mass media sardi, poi, dovrebbero smetterla di alimentare la paura dei residenti nell’isola e intortarli con false rappresentazioni e infotainment di quart’ordine.
Dovrebbero invece predisporre l’opinione pubblica sarda ad una rassegnazione più profonda e meno problematica. Più utile, insomma.
E in generale, anche noi stessi, cosa stiamo lì a discutere, protestare, pretendere di capire qualcosa e di dire la nostra?
Neanche fossimo davvero cittadini a tutti gli effetti! Ma chi ce lo ha messo in testa? E, in fondo, chi davvero ci ha mai creduto?
Certo, in un mondo ideale avremmo potuto affrontare l’emergenza in termini responsabili e solidali, garantendo la Sardegna dagli effetti peggiori del contagio – compresi quelli socio-economici – e sostenendo gli sforzi altrui.
Avremmo avuto un sistema sanitario pubblico efficiente, calibrato sulle reali esigenze dei cittadini e fondato sul principio del diritto alla salute.
Avremmo potuto avere una terra più prospera, economicamente più solida, socialmente più giusta.
Una terra molto meno inquinata, non votata ad attività industriali e militari deleterie, a pratiche economiche brutalmente estrattive, inquinanti, devastanti sul piano sociale e ambientale.
Avremmo potuto avere una storia di democrazia compiuta, di buon governo, di consapevolezza civica diffusa.
Avremmo potuto attuare una sana e diffusa politica di accoglienza solidale, anziché subire una diaspora debilitante.
Invece no. Siamo la miserabile colonia oltremarina di uno stato scalcagnato. Siamo una pedina sacrificabile in balia degli eventi. Per giunta, in un mondo invecchiato male e ormai affetto da una crisi strutturale permanente.
Ammettiamolo, accettiamolo e rinunciamo a trovare un senso in tutto questo. E che facciano di noi quel che vogliono.