Il modello trentino, l’ideologia del decoro e la “democrazia” autoritaria

Lungadige, chiesa di S. Apollinare e Doss Trento

Tradisco la Sardegna, una volta tanto, e prendo spunto da una piccola vicenda locale trentina, che conosco direttamente, per ragionare su una questione generale.

La deriva politica delle democrazie occidentali non riguarda solo gli scenari internazionali o quelli statali, ma ha una solida base fin nelle amministrazioni locali.

È a questo livello che si può percepire vividamente la virata autoritaria in corso, una virata classista, anti-popolare e sempre (SEMPRE) favorevole agli affari di chi ha il potere di imporre il proprio interesse su quello collettivo.

Persino il nuovissimo governo “del cambiamento”, finalmente varato a Roma, si inserisce perfettamente in questo solco, tutt’altro che in discontinuità.

Ma queste sono considerazioni preliminari che vanno ricondotte a fatti e processi concreti. Partiamo dunque dal livello locale.

Un po’ di storia

C’è un quartiere, a Trento, che si chiama Piedicastello. Non sta dentro la città vera e propria, ma dall’altra parte dell’Adige, sulla sponda destra.

Si chiama Piedicastello perché sorge ai piedi del Doss Trento, la collina tozza e sbozzata nota da queste parti come la Verruca.

Su tale collina c’è un bel parco, ci sono evidenze archeologiche di epoca medievale, c’è il museo degli Alpini e c’è il grande mausoleo fascista dedicato (senza la sua approvazione) a Cesare Battisti.

Lassù sorgeva appunto il castello, forse già romano, più probabilmente goto e poi longobardo, in seguito comunale, da cui il nome del quartiere.

Oggi non ne restano che pochi segni, ricoperti dalla boscaglia, in parte andati perduti per sempre, in ogni caso mai scavati né studiati sistematicamente.

La piccola area archeologica esistente riguarda i resti delle antiche chiese edificate lassù quando il castello era in piedi e intorno sorgevano pertinenze, edifici di servizio e tutto ciò che consentiva di viverci.

Più che un quartiere, Piedicastello è un borgo a sé stante.

Tipicamente popolare nella sua composizione sociale, un tempo era abitato da barcaioli (c’era uno degli scali sull’Adige, da queste parti), spaccapietre, contadini.

Si racconta che, in occasione del Concilio di Trento (nel XVI secolo), vi fossero stati segregati i mendicanti, i senza fissa dimora, le prostitute, gli storpi. Il DASPO urbano non è un’invenzione di questi ultimi anni, insomma.

Più di recente, il borgo ospitava gli operai della grande fabbrica dell’Italcementi, che sorgeva lì accanto fino a pochi anni fa, quindi ferrovieri, operai, piccoli commercianti.

Area Italcementi, dopo la chiusura e prima della recente demolizione

Solo negli ultimi vent’anni, dopo un abbandono quasi completo dovuto alla minaccia di frane dal Doss Trento, ha ricominciato a popolarsi, con una certa diversificazione sociale.

Chiusa l’Italcementi, la componente operaia è venuta in gran parte meno, ma si sono aggiunte famiglie giovani, professionisti, insegnanti, impiegati.

Molte case sono state ristrutturate, per lo più mantenendo integre le strutture esterne. Gli edifici veramente nuovi sono pochi.

Il tutto però senza un piano preciso, senza una scelta urbanistica e demografica preordinata.

Piedicastello è un quartiere cerniera, per altro, perché è l’imbocco ovest della città. L’unico, per lungo tempo, fino all’apertura dello sbocco sulla tangenziale della strada del Bondone, a nord della Verruca.

Ma il traffico che arriva dalla Valle dei Laghi (quella che finisce a sud nel Lago di Garda, per capirci) e dal Monte Bondone (con le sue tante frazioni) transita ancora in gran parte di lì, sulla via Brescia.

Il borgo ha avuto una vicenda urbanistica tormentata, negli ultimi quarant’anni.

Dopo aver rischiato la totale demolizione (su richiesta dell’Italcementi) e dopo la parziale evacuazione, ad un certo punto era stato addirittura attraversato dalla tangenziale, che lo tagliava da nord a sud, separando la zona della chiesa di S. Apollinare e il Lungadige dal resto del quartiere.

Piedicastello, con la tangenziale che lo tagliava sull’asse N-S, com’era fino a pochi anni fa

Da una quindicina d’anni è stata avviata una riqualificazione, anche su pressione dei residenti.

Dopo lunghe insistenze e un ampio e faticoso dibattito con il Comune, finalmente la tangenziale è stata chiusa e spostata in galleria (sotto il Doss Trento) ed è stata progettata una nuova sistemazione viaria, nonché un restyling radicale della piazza del borgo e di tutte le aree adiacenti.

Piedicastello come sarà dopo la riqualificazione

Nel frattempo, sempre dietro pressione della cittadinanza, è stata concessa dal Comune la qualificazione come Zona di Rilevanza Urbanistica, ufficialmente per motivi di traffico.

Una soluzione favorevole ai residenti e pressoché obbligata, dato che gli edifici sono tutti di impianto vecchio, se non antico, e i posti auto privati sono pochissimi.

Pur essendo un quartiere con una densità di auto relativamente bassa (molti nuclei familiari, composti da anziani, non hanno un’auto, molti altri ne hanno solo una), il problema di dove collocare il proprio mezzo è per forza di cose molto concreto.

In orario serale, quando diventano gratuiti e illimitati gli stalli blu (a pagamento) e quelli bianchi (a disco orario), tra il traffico dei residenti di ritorno a casa, le attività di ristorazione, i centri di aggregazione e il teatro e la sosta degli avventizi diretti in città, trovare un posto dove lasciare il proprio mezzo era un’impresa.

La soluzione della ZRU sembrava una buona idea, dato che consentiva solo a chi avesse pagato la relativa tassa di utilizzare i parcheggi contrassegnati dal colore giallo.

Senonché si è generata la malaugurata abitudine di usare comunque i parcheggi riservati ai residenti come parcheggi liberi, a disposizione di chiunque, specie in orario serale.

Il che è stato possibile grazie alla mancanza o alla rarità dei controlli e delle sanzioni da parte della polizia locale. Problema ormai incancrenito e a lungo segnalato dagli abitanti (con saltuarie reazioni da parte dell’autorità competente).

L’utilizzo di Piedicastello come area di parcheggio di attestamento (come si dice in gergo tecnico) è stato largamente tollerato dalle autorità pubbliche, in quanto funzionale alle attività e agli eventi che si tengono in città.

Infatti Piedicastello è sì esterno alla cinta urbana propriamente detta, ma è anche a dieci minuti a piedi da Piazza del Duomo, date le ridotte dimensioni e la conformazione urbana della città di Trento.

Cosa succede ora

Il fatto di questi giorni, che sta alimentando una vivace protesta popolare, molto mal digerita dall’amministrazione locale, è ciò che mi ha indotto a prendere spunto da questa vicenda per generalizzarla e farne un emblema dei tempi che corrono.

Insieme alla riqualificazione urbana del borgo, l’amministrazione comunale ha in queste settimane deciso di rivedere anche il relativo assetto dei parcheggi.

Benché i residenti, a cominciare dall’attivo comitato locale, abbiano da tempo fatto presenti i problemi concreti del quartiere e abbiano proposto di mantenere la qualificazione di ZRU con le relative prerogative, sia la Circoscrizione locale sia la giunta comunale hanno prediletto una soluzione diversa.

Il quartiere sarà accorpato all’area al di là dell’Adige, quanto a piano parcheggi, e la ZRU sarà eliminata.

La premessa di questa decisione è che: 1) i problemi di traffico siano stati risolti con la riqualificazione in corso; 2) godere di una qualificazione come ZRU sancisce per Piedicastello una condizione privilegiata rispetto ad altre aree della città che non ne godono.

Sono due premesse totalmente irricevibili.

La prima è banalmente falsa. Non perché lo pensi io o qualcun altro, ma perché il dato del traffico quotidiano non è affatto mutato nel tempo e non basta certo l’abbassamento della sede stradale di una rotatoria a mutarne il flusso.

Non è mutato in nulla nemmeno l’afflusso di auto in parcheggio di attestamento, specie nelle ore serali (vero problema pratico dei residenti, non preso in alcun modo in considerazione dall’amministrazione).

Quanto al discorso del “privilegio” riservato a Piedicastello, basterebbe dire che l’equità consiste del dare soluzioni diverse a problemi diversi e non la stessa soluzione a tutti, indistintamente.

Piedicastello ha una sua storia, una sua conformazione urbanistica, una sua tipologia abitativa, un suo tessuto sociale e questi sono fattori che, per loro stessa natura, non sono elastici, non possono mutare rapidamente al mutare delle condizioni di contesto.

In ogni caso, laddove si individuasse una soluzione urbanistica che agevoli la vita dei cittadini, più che definirla un privilegio, perché estesa a pochi, la si potrebbe considerare una trovata intelligente da generalizzare.

Alzare l’asticella, insomma, non livellare sempre verso il basso.

L’effetto netto di tutto il nuovo piano comunale – e questo è totalmente evidente – sarà la destinazione definitiva e strutturale di Piedicastello a zona di attestamento del traffico in entrata in città, con difficoltà continue e sistematiche per chi ci vive.

Questo di norma, ma in modo ancor più accentuato in occasione delle numerose feste, degli eventi, delle ricorrenze di cui è costellato il calendario trentino.

Basti pensare al Festival dell’Economia, o alle Feste vigiliane, o ai Mercatini di Natale, o al Festival del cinema di montagna o a eventi occasionali ma di massa, come il recentissimo Raduno nazionale degli Alpini.

C’è sempre una buona scusa per venire a Trento. Il che non è male. O non lo sarebbe se la cosa, come in altre realtà europee a vocazione turistica, non stesse ormai degenerando in una sostanziale espropriazione degli spazi urbani e delle possibilità di attività e di vita a danno dei cittadini.

Fenomeno che accompagna e spesso si sovrappone alla cosiddetta gentrification, operazione urbanistica di solito spacciata come necessaria e benevola, ma regolarmente traducibile in una sorta di “pulizia sociale” a discapito delle componenti economicamente più deboli o meno “integrabili” culturalmente di una comunità.

Trento e la sua cultura amministrativa

Trento è una bella cittadina. Ha tutte le sue cose a posto, curate, ben squadernate davanti al visitatore occasionale. Fa la sua “porca figura”, diciamo.

È anche notoriamente una delle città italiane con i migliori indici di vivibilità, secondo le classifiche stilate annualmente da diverse testate giornalistiche.

Essere in cima a tali classifiche è un obiettivo primario di qualsiasi amministrazione trentina. Diciamo pure che ormai è diventata un’ossessione.

Trento però è anche una città di divieti.

Pur essendo una sede universitaria, non favorisce affatto la socializzazione e le attività studentesche o in generale giovanili.

Gli spazi pubblici sono protetti e preservati da divieti stringenti di ogni tipo.

L’ideologia del decoro urbano, che ormai sta diventando la stella polare di molte amministrazioni locali e della politica italiana in generale, a Trento ha trovato un terreno già ben dissodato per radicarsi.

Di recente è stato approvato in Consiglio comunale il divieto di accattonaggio. Non si potrà chiedere l’elemosina, in città.

Una misura radicale e di stampo evidentemente classista e razzista, anche abbastanza disgustosa, in una città che fa del suo cattolicesimo ostentato una cifra culturale pregnante.

Il che stride anche con la massima tolleranza mostrata in occasione del già citato raduno nazionale degli Alpini.

Ai quali Alpini è stato consentito, e con manica davvero larga, sostanzialmente ogni possibile arbitrio, e in particolare tutto ciò che invece è normalmente precluso ai residenti (dal consumo di alcol nei parchi, al traffico di mezzi tutt’altro che in regola con le normative europee dentro il centro cittadino, al parcheggio selvaggio).

Certo, è stata un’occasione una tantum. Ma è significativa tanta improvvisa tolleranza laddove di solito regna la severità più tetragona.

Che per altro non si esercita fino in fondo nemmeno di fronte all’imperversare di iniziative pubbliche di gruppi dichiaratamente fascisti come Forza Nuova o Casa Pound, a cui il Comune non ha fatto mai mancare la disponibilità di spazi urbani, né le forze dell’ordine la protezione dai pericolosissimi (loro sì) antifascisti.

A ciò si aggiunge, coerentemente direi, l’altro assioma ideologico del favore ostentato verso chi “muove l’economia”.

Non c’è diritto dei cittadini che tenga se, per poco che sia, rischia di ledere l’ordinario svolgimento degli affari di chi produce ricchezza.

Per chi la produca, questa ricchezza, non è dato sapere e comunque non pare una questione rilevante.

Ecco dunque in quale quadro si inserisce l’imposizione a Piedicastello di un piano parcheggi contrario alle necessità dei residenti e imposto loro a dispetto di una ampia e motivata mobilitazione, con tanto di documenti, lettere, petizioni, ecc.

Addirittura l’amministrazione comunale ha convocato un’assemblea pubblica per presentare la “proposta” di soluzione, dichiarando che niente era ancora deciso.

Davanti alla diffuse, argomentate e ribadite controdeduzioni dei cittadini, si è chiusa a riccio, rivelando la realtà delle cose. Ossia che non c’era niente da decidere perché era già tutto stabilito.

Una curiosa concezione della democrazia: il parere popolare conta solo se combacia con quello di chi deve decidere. Altrimenti non conta nulla.

Temo che non sia un’idea di democrazia di esclusiva pertinenza degli amministratori trentini.

Dal particolare al generale

Questa vicenda, se ha il suo peso concreto giusto per le persone coinvolte, tutt’al più per la città di Trento, presenta anche un aspetto esemplare e simbolico in termini ben più generali.

A quale idea di democrazia e di interesse generale risponde questa operazione locale? In quale quadro ideologico si inserisce?

Perché le esigenze reali e circostanziate di un intero quartiere, o di un’intera città, possono passare in secondo piano rispetto a decisioni calate dall’alto, in nome di obiettivi e interessi non solo estranei ma confliggenti con esse?

In nome e per conto di chi agisce la politica locale, fin dentro le circoscrizioni di quartiere? A chi risponde?

Di solito si risponde alle proteste popolari invocando la sindrome NIMBY, una costrutto ideologico anti-democratico che ha avuto ampia promozione sui mass media e nel discorso politico dominante.

Ma è un’aberrazione totale, sia sul piano politico sia su quello del buon senso, a pensarci bene.

Tutto ciò assume infatti una tinta inquietante se pensiamo – su un piano più generale – ai discorsi sui “mercati” che chiedono o rifiutano questa o quella soluzione politica, ai diktat tecnocratici di entità impersonali a cui però bisogna sacrificare qualsiasi cosa, alle necessità sbandierate di Grandi Opere Dannose e Inutili.

O ancora, se pensiamo alle facilitazione normativa a favore di qualsiasi speculazione, commerciale o finanziaria, spacciata sempre come necessaria, inevitabile e comunque sovraordinata rispetto ai bisogni, alle aspirazioni e alla vita stessa delle persone e di interi popoli.

È qui che si inserisce la retorica della “rimozione degli ostacoli” al commercio, retorica che poi nasconde la sostanziale privatizzazione di qualsiasi servizio pubblico, di qualsiasi bene comune.

Che democrazia è quella in cui tali forze economiche, tali interessi privati, hanno la meglio su qualsiasi altra cosa?

Perché la vita di un borgo, di famiglie con bambini, di anziani, di lavoratori deve per forza sottostare a un disegno in cui non è previsto che aumenti alcun vantaggio generalizzato, non si va incontro ad alcun diritto altrui, tanto meno di tutti, non si realizza alcun piano di miglioramento effettivo della qualità della vita di chi abita nei luoghi investiti dalle decisioni contestate?

Allarghiamo un po’ lo scenario, ma sempre restando a Piedicastello, per la faccenda più rilevante che interesserà il quartiere nel futuro prossimo.

Presto si dovrà decidere cosa fare della grande area su cui sorgeva l’Italcementi.

Quest’area, originariamente di privati, alcuni anni fa era stata messa in vendita. La Provincia Autonoma aveva rifiutato di esercitare il suo diritto di prelazione, lasciandola acquistare da altri.

A loro volta i primi acquirenti l’hanno presto ceduta, a un prezzo più alto com’è inevitabile, alla finanziaria della Curia (che a Trento è molto di più di un’istituzione ecclesiastica).

Dopo di che, la Curia l’ha messa in vendita.

Chi l’ha comprata, a circa il doppio (ora non ho il dato sotto mano) del prezzo iniziale? La Provincia Autonoma, con la sua Patrimonio del Trentino SpA.

Questo per sottolineare in quale contesto politico-economico si inserisca la vicenda raccontata.

Non sappiamo ancora che investimenti saranno fatti nell’area dell’Italcementi. Le ipotesi fin qui ventilate sono tante (quartiere residenziale studentesco, polo scolastico, nuovo stadio, centro congressi) e oggi sembra prevalerne una.

Nel quartiere la prospettiva più gradita sarebbe quella di un’area verde, con qualche servizio destinato alle famiglie e agli anziani. Ma è l’ipotesi più debole tra quelle in campo e già sostanzialmente scartata.

In ogni caso, niente è stato ancora fatto, nonostante le decisioni sbandierate in proposito.

Il motivo è che si tratterà di un investimento che comunque non darà lucro, non genererà profitti da iscrivere a bilancio, in termini privatistici, se non come partita di giro (fatta sempre usando soldi pubblici).

Perché ormai oggi sembra tutto vincolato al meccanismo del profitto, persino laddove si debbano gestire e rendere disponibili alla cittadinanza dei beni pubblici o addirittura dei beni comuni.

Ideologia aberrante, per quanto egemonica, a cui si stenta a rispondere in termini politicamente robusti.

Ed è questo uno dei nodi fondamentali della vicenda e più in generale dell’intero sistema di governo del territorio, non certo solo in Trentino, ma in Italia e in Europa.

Con sfumature e gradazioni diverse, chiaramente, specie dove esista ancora un’etica diffusa del bene collettivo e la politica non sia un mero strumento dei padroni.

E questo si lega all’evidente processo di restringimento dei diritti di cittadinanza, degli spazi di rappresentanza istituzionale degli interessi diffusi e delle istanze politiche, al concentramento dei poteri nelle mani dei governi, alla chiusura totale verso qualsiasi percorso di autonomia e di autodeterminazione democratica.

Può sembrare paradossale affrontare questo tema partendo da un caso specifico trentino. Trento e il Trentino-Südtirol in generale godono la fama di territori esemplarmente governati, prosperi e felici, simboli dell’efficacia delle autonomie locali, quando ben utilizzate.

Il che è abbastanza vero, in fondo.

Ma anche dentro tali realtà si annida il germe dell’oligarchia, del capitalismo familista più chiuso, giusto rivestito di una patina paternalista e compassionevole. Con la politica che ne diventa braccio esecutivo, anziché fattore di contenimento. E i mass media totalmente asserviti.

Per concludere (provvisoriamente)

La riqualificazione di Piedicastello e la sorte dei suoi parcheggi sembrano segnate dalle decisioni anti-popolari e anti-democratiche dell’amministrazione cittadina.

Nei prossimi mesi sapremo se l’area ex-Italcementi troverà la sua nuova destinazione o resterà un’arida e polverosa spianata.

Certo è che la memoria sociale del borgo non promette un’accettazione passiva e supina di decisioni considerate inaccettabili e ostili, specie se le previsioni di disagi e di problemi troveranno conferme concrete.

Ma saranno i pedecasteloti – come si chiamano gli abitanti del luogo – a farsi carico della loro sorte. L’amministrazione trentina non potrà dormire sonni troppo tranquilli, a questo proposito (le elezioni comunali si avvicinano!).

Diversa la dimensione e la portata del problema più generale della gestione del territorio, delle scelte infrastrutturali e urbanistiche, che sono per loro stessa natura scelte profondamente politiche e mai neutre.

Diversa anche la dimensione e la portata della trasformazione delle nostre democrazie rappresentative in mere finzioni mediatiche, in giochi formali ed esteriori, che nascondono un’anima elitaria rapace, padronale, autoritaria, anti-popolare e classista.

Questa è una faccenda molto più ampia e generalizzata, su cui anche gli episodi locali possono spingerci a ragionare, non restando sul piano dei massimi sistemi ma proprio partendo dalle esigenze basilari della vita dei popoli, delle comunità, delle persone.

Che poi è l’unica vita vera, reale, che ci sia.

 

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