Capita spesso di sentirsi chiedere da non sardi: com’è possibile che la Sardegna sia ridotta così? Domanda che sottintende da un lato la constatazione delle risorse di cui l’isola dispone e dall’altra lo sconcerto per il loro pessimo utilizzo.
Al contrario di quanto molti sardi pensano, la Sardegna è una terra particolarmente fortunata. Senza alcun merito particolare, solo come esito di una serie di circostanze geologiche, climatiche e storiche. Ma lo è.
È sempre difficile, in tali circostanze, articolare una risposta compiuta. Si rischia sempre di essere generici e/o qualunquisti, oppure di dilungarsi in una serie di premesse e distinguo che alla fine fanno perdere il filo all’interlocutore (ed anche a noi).
Poi però, a volte, si concentrano in pochi giorni o in poche ore eventi e decisioni che suggeriscono una possibile risposta.
Facciamo caso a ciò di cui si occupa la politica istituzionale sarda in questo periodo.
Il tema dominante è quello della ASL unica. La decisione della Giunta Pigliaru di accorpare tutte le Aziende sanitarie sta producendo malumori e veri e propri conflitti in tutto l’arco politico istituzionale.
Perché ci si occupa tanto di questo tema? Perché si ha a cuore il servizio da rendere ai cittadini? Il loro diritto alla salute? Evidentemente no. La preoccupazione riguarda: clientele, appalti da distribuire, favori da restituire, carriere da garantire.
Quando va bene, la preoccupazione è relativa al contenimento della spesa sanitaria sarda (ormai arrivata alla mostruosa cifra di 3,5 miliardi di euro). Ma “contenere la spesa” significa “tagliare tutte le spese possibili senza toccare gli introiti degli amici e le sacche clientelari”. Sventolando magari il feticcio delle eccellenze da far emergere e dell’efficienza da garantire e altre corbellerie retoriche a contorno.
Altra questione di rilevanza consistente per i nostri amministratori sono le Olimpiadi. Non quelle appena svolte a Rio de Janeiro ma quelle – ipotetiche e futuribili – da svolgersi a Roma nel 2024.
Il “no” pronunciato dalla sindaca della capitale italiana ha prodotto mal di pancia anche a Cagliari. Non è proprio la faccenda della farfalla che batte le ali a Hong Kong e fa scatenare un uragano a Boston, ma qualcosa di molto più piccolo e meschino.
Il sindaco di Cagliari si è offeso. Prima perché la sua collega di Roma non gli ha risposto al messaggio su whatsapp, poi perché pronunciando il suo “niet” ha compromesso la possibilità che le gare olimpiche di vela si tengano a Cagliari.
Deve essere un fanatico degli sport marinareschi, il sindaco Zedda, per rimanerci così male. L’altra spiegazione possibile è che alcuni dei suoi “grandi elettori” e alleati politici contassero sulle Olimpiadi per mettere le mani su un po’ di appalti e altre cosucce succulente che questi grandi eventi (quasi sempre in perdita per le casse pubbliche, ovunque, bisogna saperlo) di solito procurano.
Nel frattempo che noi ci si distraeva con queste amenità o con le beghe del Cagliari calcio e i bisticci tra i suoi tifosi, la giunta Pigliaru non se n’è stata con le mani in mano. Va bene litigare sulle poltrone (a proposito: complimenti a SEL per averla spuntata con la presidenza della SFIRS: dove andremmo a finire senza la “sinistra” italiana in Sardegna?), ma poi bisogna anche dare risposte a chi conta sulle decisioni della politica per il proprio sostentamento.
No, non parlo dei cittadini, ma della chiesa cattolica. La quale riceverà dalla RAS la bellezza di 54 milioni di euro tratti dai fondi europei per lo sviluppo regionale. Quelli che servirebbero per istruzione, lavoro, infrastrutture, ecc.
Però, naturalmente, il cattivo di turno è quel bel tomo di Flavio Briatore, che vorrebbe fare della Sardegna una sorta di enorme Ibiza, bontà sua. Se non fosse per questi sardi che vogliono solo fare i pastori! In effetti è una questione cui dedicare paginate di giornale e valanghe di commenti.
E tutto questo nel giro di un paio di giorni appena. Del disastro dei trasporti interni ed esterni, della devastazione della scuola e di tutti gli altri problemi strutturali irrisolti chi se ne frega.
Temo che la maggior parte dei nostri rappresentanti politici confidi nella vittoria del “sì” al referendum costituzionale, in modo da togliersi l’incombenza di far finta di intervenire sulle questioni strategiche che ci riguardano. Contano sul commissariamento della Sardegna da parte del governo italiano. Salvo mantenere un po’ di libertà nella gestione degli affari di ordinaria amministrazione, s’intende.
Varrebbe la pena di diventare indipendenti solo per liberarci di tutta questa marmaglia di mediocri e malintenzionati.
Ma non facciamo finta di nulla: la politica sarda funziona così perché gode di un certo consenso. Minoritario, ma elettoralmente ancora robusto e sorretto da un apparato egemonico e ideologico ancora forte. Il marchingegno da scardinare è complesso ed è garantito da appoggi esterni consistenti.
Non sarà facile cambiare le cose, benché sia indispensabile. Magari cominciando dai fondamentali. Tipo: cos’è la politica e di cosa dovrebbe occuparsi. Cose come questa:
Lo so, il confronto è umiliante. Ma queste cose esistono, sono possibili. Perché non darci obiettivi di alto livello? Perché limitare i nostri orizzonti?
Alla fine è vero: capita di doversi vergognare di come è messa la Sardegna. Per certe cose, intendiamoci, mica per tutto. Di magagne brutte ne hanno anche gli altri, spesso senza nemmeno avere le nostre fortune. Ma, per come funzionano le cose, mi pare che possiamo dirci fortunati che non siamo messi anche peggio. Evidentemente qualcosa di buono siamo capaci di farla. Ricordiamocelo e partiamo da lì.