Nuovo gradito intervento nell’ambito del dibattito su indipendenza e indipendentismo. Questa volta SardegnaMondo ospita la riflessione di Pier Franco Devias, già dirigente di a Manca pro s’Indipendèntzia e candidato presidente alle ultime elezioni sarde per il Fronte Indipendentista Unidu.
Mi permetto di intervenire brevemente nel dibattito molto interessante che recentemente è stato sollevato dagli interventi di Alessandro Mongili, Nicolò Migheli, Omar Onnis e Ivo Murgia.
Io penso che sia sempre una cosa positiva dibattere sull’esistente, sulle prospettive, sulle speranze e – perché no? – anche sulle paure che animano i nostri tempi. Nello specifico in più aspetti gli autori degli scritti hanno posto l’accento su un periodo di incertezze e trasformazioni che l’indipendentismo sardo sta vivendo, al punto di richiamare, in modi diversi e con intensità diversa, l’allarme per il rischio che esso possa trovarsi sulla via del tramonto.
Ci si chiede, in maniera provocatoria ma anche fortemente preoccupata, se l’indipendentismo è giunto alla fine, se siamo in una fase in cui rischiamo di essere sorpassati dalla storia, fino a dire che l’indipendentismo sia stato ammazzato, sebbene subito dopo l’autore smentisca – nel titolo e nei contenuti – rivendicando che l’indipendentismo è vivo.
Mi trovo in una posizione ibrida rispetto a questi scritti, perché di essi condivido buona parte dell’analisi e gran parte dei richiami a “rimboccarsi le maniche” ma allo stesso tempo non condivido alcune concezioni di partenza (non esplicitate ma intrinseche a mio parere) e alcune proposte di risoluzione.
Intanto credo che si debba precisare una cosa. L’indipendentismo non è morto, non sta morendo e non è in pericolo di vita. Non me ne vogliano quelli che hanno preso le mosse da questa considerazione ma mi sento di portare una critica, che mi auguro venga recepita nel massimo della costruttività che vuole esprimere: identificare l’indipendentismo con le strutture indipendentiste può portare a credere che, nel momento in cui dovessero crollare queste strutture, lo stesso indipendentismo verrebbe a crollare. Quando si accorda fiducia a una struttura o a un progetto politico (elettorale o meno) si deve anche mettere in conto che questa struttura o questo progetto, in quanto governati dalle stesse leggi che governano tutto l’universo, ha un tempo di nascita, di sviluppo dinamico, di stagnazione e di degenerazione. Ma credere che la degenerazione di una struttura o progetto possa identificarsi con la morte imminente di un vasto e complesso ambito politico sarebbe come pensare che la degenerazione di una stella possa rappresentare la fine dell’universo. Io invece sono convinto, in quanto profondamente dialettico, che dalla degenerazione nascano nuove vite, conscio che nulla si distrugge ma ogni cosa si trasforma. E in questo ci troviamo, credo, d’accordo nel senso che qua e là vedo diversi spunti propositivi, anche da parte loro, per il superamento di questa fase con proposte in termini di impostazione dell’orientamento generale o anche in proposte più immediate e dettagliate.
Dico questo perché mi sembra di leggere tra le righe di alcuni interventi una grande preoccupazione che va oltre il plausibile. Capisco bene che lo spauracchio della morte venga agitato come provocazione e per smuovere le acque, però intravedo in questo modo di fare provocazione una maniera di esorcizzare la propria paura che la morte sia davvero dietro l’angolo.
Io mi trovo in questo momento in una posizione che probabilmente Omar potrebbe inserire tra quelle “comode”, nel senso che mi trovo momentaneamente non appartenente a nessun partito e dunque ho anche la libertà di esprimere il mio parere in maniera incondizionata e non legata a patti. Perciò questa “comodità” individuale transitoria mi permette anche di analizzare alcune esperienze in maniera individuale, senza passare per alcun dibattito collettivo, e portarla a titolo di semplice opinione sul tavolo di questo dibattito.
Quando sciogliemmo A Manca pro s’Indipendentzia lo facemmo perché ritenemmo che la sua evoluzione storico-politica fosse giunta a conclusione e che fosse necessario costruire un’organizzazione politica al passo con i nuovi tempi e adeguata a raccogliere le sfide di una lotta d’indipendenza calibrata su nuove dinamiche, su una nuova fase dell’indipendentismo e su una Sardigna diversa da quella di quindici anni fa. Non pensammo che l’indipendentismo era morto e non pensammo nemmeno che la sinistra fosse morta, così come non pensammo che né l’uno né l’altra corressero pericolo di vita: semplicemente l’indomani stesso ci rimettemmo al lavoro per costruire un partito al passo con i tempi, portando in questo modo anche aria fresca e ricchezza all’indipendentismo tutto. E i lavori ancora fremono e si prospetta un grande progetto non appena i tempi saranno maturi per partire. Credo che sia questo lo spirito che dovrebbe animare tutto l’indipendentismo, sempre e comunque.
Per quanto riguarda le proposte mi trovo certamente in sintonia con tanti passaggi espressi da Omar Onnis. Apprezzo molto il fatto che “sbatte in faccia” a tutti, senza grandi giri di parole, l’obbligo di coscienza e di onestà intellettuale di dover andare finalmente a confrontarsi su tematiche che troppo spesso sono state patrimonio di discussioni chiuse ed esclusive della propria bottega, o che sono state poste come dogmi indiscussi da accettare nella forma anche quando non sopravviveva niente nella sostanza. Il dibattito è un passaggio fondamentale nella crescita politica, rimandarlo (o, peggio, negarlo) serve solo a far fallire i progetti.
Mi avvio alla conclusione prendendo in esame una paio di passaggi del documento di Ivo Murgia che hanno suscitato maggiore dibattito tra i commentatori (e che poi sono due tra i punti più dibattuti nel mondo indipendentista), ovvero la questione di un’organizzazione che includa tutti gli indipendentisti superando gli steccati dettati da appartenenza ideologica e la questione dei leaders che devono lasciare posto.
Sul primo punto credo di poter dire di aver perseguito per anni questo sogno, da quando A Manca propose l’unità degli indipendentisti, passando per l’esperienza di Unidade Indipendentista, proseguendo con la Carta di Convergenza Indipendentista (sottoscritta solo da A Manca pro s’Indipendentzia), fino alla recente candidatura alle elezioni regionali, in cui, per una proposta di unità di tutto l’indipendentismo, ci ho messo – letteralmente – la faccia.
Ebbene per quanto riguarda il progetto di unire tutto l’indipendentismo sono giunto alla conclusione che i tempi non siano ancora maturi, sia che si intenda per unità la costituzione di una formazione che faccia finta che non esistano la destra e la sinistra (luogo unico al mondo), sia che si voglia intendere una struttura – fluida quanto vuoi – che possa tenere insieme tutto ciò “che va dall’estrema sinistra alla destra liberale”. Ne sono profondamente convinto: in questo determinato periodo storico politico un progetto di unità basato su queste impostazioni non funziona. Se anche riesci a costituirlo si sfascia entro breve tempo a causa delle dinamiche interne.
Per quanto riguarda l’esperienza che ho vissuto io personalmente sul tentativo di costruire l’unità tra gli indipendentisti posso ricordare che il documento di aMpI che chiamava all’unità fu snobbato da tutti. Solo inseguito capii che tutto il problema girava intorno al fatto che l’unità intesa come risposta a una chiamata di un “unitore” non può avvenire, tantomeno nella Sardigna odierna.
Unidade Indipendentista ottenne uno scarso consenso elettorale, mentre un partito (Irs) che avrebbe dovuto apparire come settario e ostile all’unità tra gli indipendentisti ebbe buoni risultati.
La Carta di Convergenza venne firmata da una sola delle organizzazioni che la redassero e, come ogni contratto o patto nella storia del mondo, quando è firmato unilateralmente da una sola organizzazione non ha alcun valore se non per l’unico firmatario.
Il Fiu, per il quale mi spesi anima e corpo, a dispetto del suo nome che richiama l’unità dell’indipendentismo, è fragorosamente naufragato davanti alla completa evidenza che il mondo indipendentista ha rifiutato di riunirsi in questa struttura. Motivo di evidenza e presa d’atto della realtà che ha determinato la mia uscita da un gruppo che spacciava al popolo sardo una unità che si sperava che nascesse ma che – di fatto – non è mai nata e non c’è.
Non posso, in definitiva, rimproverarmi o rimproverare a tantissimi patrioti di non aver voluto cercare l’unità tra indipendentisti, ma a un certo punto si deve anche abbandonare l’idealismo e guardare in faccia la realtà anche quando non ci piace.
Sono invece pienamente d’accordo sul fatto che si debba convergere, ma ho un altro modo di intenderlo. Credo che l’unico lavoro di unità possibile non sia quello del tentare di costituire gigantesche ammucchiate ma piuttosto quello della convergenza di tutte le organizzazioni nelle stesse lotte comuni. Cioè una molteplicità di organizzazioni, che rappresentano diverse istanze, differenti orientamenti e punti di vista ma che abbiano la forza e la volontà di perseguire assieme le stesse lotte fondamentali per la salvaguardia dei diritti e per la libertà del nostro popolo. Vedrei di buon grado una sorta di Coordinamento Nazionale in questo senso, anche se credo che prima di parlare di elezioni sarebbe opportuno vederlo nascere e svilupparsi nelle lotte.
Infine, e concludo davvero, l’annosa questione dei “leaders” indipendentisti. Intanto penso che si usi con molta disinvoltura questo termine, andando a indicare – tout court – come leader i dirigenti dei partiti indipendentisti. Credo che “leader” indichi una persona carismatica e rappresentativa, qualità che non necessariamente e automaticamente debbano essere presenti in tutti i dirigenti dei partiti indipendentisti, anche se i giornalisti usano spesso questo termine. Io vedo molti dirigenti, moltissimi aspiranti dirigenti e pochissimi leaders. Se per leader si intendono persone che sono punti di riferimento, che sono realmente rappresentativi e che incarnano le speranze di grandi parti di un popolo, io non credo che si debba chiedergli di “fare un passo indietro” perché significherebbe privare il popolo di persone di fiducia. Inoltre mi chiedo chi dovrebbe sostituirle, anche considerando che la fiducia del popolo ce la si guadagna col popolo e non esiste una sorta di ”investitura a leader”, perlomeno nell’accezione che ho dato io. Se invece i “leaders che devono fare un passo indietro” sono né più né meno che gli attuali dirigenti dei partiti indipendentisti io credo che spetti ai militanti di ogni organizzazione chiedere che venga rispettata la democrazia interna (qualora non ci fosse), pretendere congressi periodici e, quando un dirigente non viene più riconosciuto capace, non votarlo, sostituendolo con un altro ritenuto più capace del precedente. Credo però che questo sia un compito che devono svolgere i militanti delle organizzazioni all’interno delle loro stesse organizzazioni: non può arrivare uno dall’esterno a decidere come si deve vivere in casa d’altri. La democratizzazione delle organizzazioni è compito di chi milita nelle organizzazioni.
E’ mia ferma convinzione che questo popolo non abbia bisogno di una persona da individuare come leader ma abbia bisogno di un’organizzazione-leader che sia scientificamente organizzata, preparata e adeguata per condurre in maniera vittoriosa la lotta d’indipendenza.
Ci stiamo lavorando.