È angosciante seguire le cronache di questi giorni, tra eccidi di profughi e studenti, morte di migranti, sviluppi bellici e diplomatici in grande stile. Infuriano una corsa agli armamenti, un’assuefazione progressiva alla violenza e un rinfocolarsi di nazionalismi che ricordano troppo da vicino quel che successe un secolo fa per non essere inquietanti.
È troppo pretendere che ci sentiamo coinvolti in queste vicende? Woody Allen, in una nota scena, a chi gli obiettava qualcosa circa la sua militanza liberal, rispondeva che per lui era impossibile pensare che in quello stesso momento qualche bambino stesse morendo di fame in Africa senza che questo gli rovinasse la serata. Una battuta cinica, indubbiamente, ma molto più severa verso l’atteggiamento radical chic che verso chi invece semplicemente se ne frega.
Oltre ai radical chic ci sono purtroppo anche gli stupidi, i razzisti e i fascisti a incrementare il tasso di inquinamento morale e politico. Questa gentaglia, in servizio permanente effettivo a vataggio dei poteri costituiti di turno, ci sguazza beatamente in momenti storici come quello presente. La Sardegna non ne è affatto immune. Ma è la sostanziale indifferenza dei più a preoccupare.
Che ci piaccia o non ci piaccia, tutto quello che succede all’infuori di noi e della nostra ristretta cerchia personale ci riguarda. Le pretese individualistiche nulla possono davanti alla constatazione che siamo tutti nodi di una grande rete di relazioni, rapporti di forza, canali di comunicazione. Non esistono compartimenti stagni. Le idee di purezza etnica o di protezione della propria identità sarebbero ridicole, davanti allo spettacolo del mondo, se non fossero così minacciose.
Sarebbe bello e utile se la coscienza della complessità e della profonda connessione tra il nostro destino e quello altrui fosse ben radicata in ciascuno di noi. Ovviamente è una pretesa utopistica. Mi accontenterei però che tale coscienza fosse presente almeno in chi ha ruoli pubblici e in chi deve prendere decisioni sulla vita di tutti.
Il discorso è generalizzabile, chiaramente, ma riflettevo su quanto, anche da questo lato, sia debole e inadeguata la classe dirigente sarda. O meglio, quella che dovrebbe essere la classe dirigente sarda. Una terra come la nostra, così esposta ai frangenti della storia, avrebbe necessità di una diffusa consapevolezza dei nostri legami con quanto ci circonda. Invece ci ostiniamo ad accettare di rimanere relegati in una sorta di limbo, storditi da sciocchezze propalate ad arte, ignoranti di noi stessi quanto di tutto il resto.
Chi governa la Sardegna e dovrebbe rappresentanrne gli interessi, nella loro coplicata composizione, non mostra di avere alcuna idea compiuta su come vada il mondo. Personaggi da poco diventano leader; gente che ha letto giusto qualche libro anni fa o ha fatto carriera all’ombra di qualche padrone può avere l’ultima parola su questioni rilevanti, a volte vitali; furbi, corrotti, arrivisti brulicano a tutti i livelli e raggiungono facilmente ruoli di vertice. La nostra condizione di dipendenza genera una pressione selettiva a favore della mediocrità e del conformismo. Il che è esiziale sempre, ma tanto più in un momento di gravi squilibri e di crisi storica conclamata.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i membri della giunta Pigliaru e i nostri consiglieri regionali a proposito di quanto succede oggi nel Mediterraneo, dai naufragi dei migranti agli sviluppi in atto nei paesi del Maghreb, alla questione greca, fino alla situazione del Vicino Oriente. Sono o non sono fatti e processi che ci toccano? O ci interessa solo quanti soldi ha da investire in Sardegna, beninteso nel proprio interesse, il fondo sovrano del Qatar? Possibile che al di fuori della spartizione delle ASL e del dirottamento dei soldi pubblici verso progetti insulsi o pericolosi (ma molto lucrosi) tipo inceneritori e chimiche verdi non ci sia nulla che interessi la nostra classe politica e la nostra intera classe dirigente?
La somma della profonda ignoranza su noi stessi con quella, altrettanto radicata, sul mondo circostante è un peccato mortale della Sardegna contemporanea. Ma non sarebbe giusto né corretto prendersela con i Sardi in generale. A volte si dice che è sbagliato essere indulgenti verso i cittadini: dopo tutto siamo in democrazia e ognuno deve assumersi la sua bella parte di responsabilità. È vero, non lo nego, ma a questa osservazione generica va aggiunto anche un insegnamento della storia che non si può eludere: la buona cittadinanza la fa la buona politica.
La responsabilità della classe dominante sarda negli ultimi duecento anni è evidente. Se per altre epoche potevamo accettare distinguo e attenuanti, per questi anni no. Non è più possibile nasconderci la drammatica realtà. Chi ha potere decisionale oggi in Sardegna è del tutto impari al compito. Non c’è giunta dei professori che tenga. Questo è un problema strutturale estremamente serio. L’assoluto disinteresse per gli eventi internazionali e l’ignoranza di tutto quanto ecceda il mero rapporto di vassallaggio con le forze economiche e politiche che dominano l’Italia è uno dei fardelli più pesanti della nostra condizione storica attuale. Liberarcene è fondamentale. E sarà fondamentale anche il modo in cui ce ne libereremo.