Elezioni amministrative e processi storici

Succede più di quanto appaia, nella sfera politica sarda. Sempre un po’ a sé stante, rispetto alle dinamiche italiane, a cui pure in qualche modo è ancora vincolata.

Sull’isola si accavallano fattori locali con fattori più generali (di portata non solo italiana ma direi europea). È inevitabile, anche se tende a sfuggire allo sguardo della cronaca politica minuta. Eppure che sia in corso un processo di transizione è evidente da anni.

Emblema di tali dinamiche sono le elezioni a Nuoro. Per la prima volta, da che la Sardegna è italiana, la città sarà amministrata non dalla proiezione locale di organizzazioni e centri di potere di matrice italiana, ma da una coalizione di forze civiche e politiche sarde. Nessuna segreteria di partito che risponda a una gerarchia esterna avrà voce in capitolo nelle scelte della nuova giunta nuorese.

Naturalmente questo non significa che sarà per forza di cose una buona giunta o che si rivelerà all’altezza del compito. Ma questo non è importante, nel presente discorso. Come non è importante il suo orientamento politico e nemmeno la circostanza che la sua ascesa sia stata favorita dalle divisioni interne dei partiti italiani e persino sostenuta da alcune loro fazioni.

Il dato storico è che in Sardegna è possibile non solo partecipare alla vita politica ma anche candidarsi alle elezioni e ottenere un ampio consenso senza essere organici al sistema di potere proconsolare che ha dominato fin qui. E non in un paese piccolo, le cui sorti non incidono sugli equilibri generali, ma in un luogo di rilevanza politica e simbolica significativa come Nuoro.

Su questi esiti, che si sommano ad altri già manifestatisi in questi anni, va fatta una riflessione serena e obiettiva. La necessità storica che la Sardegna imbocchi al più presto la strada della propria autodeterminazione è talmente evidente che non voglio nemmeno tornarci su. Che questa strada sia già stata imboccata, senza che la cosa sia percepita nella sua portata decisiva, è però altrettanto evidente.

L’aspetto fondamentale che bisogna tenere presente è che la Sardegna ha bisogno di un sistema politico che sia centrato sulle sue forze, sulle sue necessità e su una prospettiva di autodeterminazione concreta.

Il dilemma – frainteso a lungo soprattutto in ambito autonomista, sardista e indipendentista – non è smarcarsi o no dai partiti i taliani e quindi dalle grandi famiglie ideali di destra e sinistra oppure allearcisi. Posta in questo modo la questione è irrisolvibile e porta con sé solo pasticci, equivoci, ritardi. Identificare i partiti italiani e le loro aggregazioni con i concetti generali di destra e sinistra è un errore. Da cui discende la ricetta sbagliata dell’indipendentismo “né di dentra né di sinistra” (cioè o un’ipocrisia o una forma di nazionalismo di destra) e del sardismo opportunista, pronto a qualsiasi alleanza.

Questo fraintendimento, insieme ad altri errori, ha condotto al ridimensionamento del PSdAz, agli esperimenti sovranisti, alla marginalizzazione dei partiti indipendentisti, alla continua sudditanza verso la politica eterodiretta dei partiti italiani. Ossia, a un risultato opposto a quello dichiaratamente perseguito.

Non si può prescindere dalla differenze ideali, dalla distanza tra i valori praticati, tra gli obiettivi perseguiti. Così come è ridicolo identificare destra e sinistra con le loro pallide rappresentazioni partitiche all’italiana. Con l’aggravante che queste categorie astratte in Sardegna si sono da sempre declinate in termini puramente clientelari e neo-feudali, almeno dai tempi di Francesco Cocco Ortu.

Una delle questioni strategiche da chiarire è dunque la formazione di un panorama politico sardo che sia svincolato dalle segreterie dei partiti italiani e dagli interessi che esse rappresentano. In questo senso il dato delle elezioni di Nuoro è significativo, così come lo era quello delle ultime elezioni regionali, in cui almeno centomila voti validi erano stati attribuiti a forze dichiaratamente esterne e in larga misura ostili al sistema di potere centrato sui partiti italiani (voti privati della rappresentanza istituzionale da una legge elettorale palesemente antidemocratica e illegittima).

Dato che le forze politiche devono rappresentare forze sociali esistenti, è lecito domandarsi su quali basi possa reggersi un panorama politico centrato sulla Sardegna. Sappiamo che lo zoccolo duro del voto ai partiti italiani è stato da un lato la rete clientelare ramificata e capillare, da un altro l’appartenenza ideale di vaste categorie sociali (operai, insegnanti, impiegati pubblici, ecc.). Il peso che il settore terziario e l’impiego pubblico in particolare hanno da tempo nel sistema economico isolano ha avuto sin qui un ruolo decisivo anche in termini elettorali.

Stiamo assistendo però a una crisi profonda e strutturale di tale apparato di consenso. La situazione sociale ed economica sarda è difficile, ma se non altro non è statica. Il che apre scenari inediti. Il sistema produttivo isolano, costruito in due secoli di pesante dipendenza di tipo para-coloniale o post-coloniale, mostra tutti i suoi limiti e non regge più alle spinte della storia. L’articolazione sociale e la rappresentanza politica che ne erano le conseguenze sono in disfacimento. Le strutture pubbliche, per lo più statali, quindi per propria natura a vocazione centralista, non rappresentano più il nerbo di un consenso massiccio alle forze politiche italiane. La rete clientelare è sfilacciata a causa della difficoltà di reperire fonti di approvvigionamento finanziario e dalla crescente penuria di posti di lavoro da distribuire. Il mastice ideologico si è da tempo liquefatto e le scelte governative recenti hanno toccato grumi di interessi fino a poco tempo fa compatti e compattamente schierati. Si pensi al conflitto tra il governo Renzi e la scuola, per fare un esempio attualissimo. Il che si traduce oggi prevalentemente in un ampio fenomeno di astensionismo elettorale. Ma non solo, come possiamo constatare.

Se vacilla l’agglomerato sociale su cui i partiti politici italiani hanno da sempre potuto contare, grazie anche alla organicità dei sindacati confederali al sistema egemone, tuttavia non significa automaticamente che vi sia un travaso diretto verso forze politiche sarde. La variabile costituita dal Movimento 5 stelle in Sardegna va tenuta in considerazione. Ma si tratta pur sempre di un tipico franchising esterno (come dice il mio amico Alessandro Mongili), senza reale radicamento sociale e culturale, buono per esprimere, in certe condizioni, un voto di protesta o di cambiamento, capace di riempire il vuoto politico creatosi.

Ovviamente, e spero non ci sia bisogno di spiegarlo, non può certo venire dal Movimento 5 stelle una soluzione strutturale alle necessità politiche sarde. Al di là delle riserve sul suo orientamento politico di fondo (incline alla demagogia di destra, a dispetto di una parte della sua militanza di sensibilità più vicina a valori di sinistra) o sulle sue forme organizzative, è proprio la sua sostanziale estraneità al tessuto produttivo, sociale e culturale sardo che ne fa un corpo estraneo, un fattore contingente e quasi di disturbo, più che una risorsa.

La risposta oggi come oggi non può venire nemmeno da quel che esprime l’ambito dichiaratamente indipendentista, almeno non dalla sua articolazione attuale. Qui si perpetuano fraintendimenti deleteri, come un tumore sviluppatosi da cellule sane. Alcune istanze positive espresse in tale ambito nei primi anni Duemila hanno fatto il loro corso, hanno fecondato il dibattito politico sardo, ne hanno persino condizionato l’agenda di governo, ma ora sono inservibili, almeno in quegli stessi termini. O sono buone a giustificare soluzioni “sovraniste” di comodo. La contrapposizione tra indipendentisti e non indipendentisti, di sapore settario ma a suo tempo corretta, quando si trattava di chiarire i termini del discorso e mettere in luce le contraddizioni dell’autonomismo diffuso, oggi non ha alcun peso effettivo.

Il processo di autodeterminazione passa invece dall’acquisizione generalizzata della consapevolezza che la politica sarda debba essere centrata sulla Sardegna. Inoltre è indispensabile collegare questo discorso alla rappresentanza concreta dei fattori sociali.

È necessario, insomma, che l’articolazione della militanza e della rappresentanza politica in Sardegna ritorni nell’alveo dei processi storici concreti, abbandonando le astrazioni teoriche. È indispensabile che si possa poter scegliere tra partiti sardi di destra e di sinistra, conservatori, liberisti, socialisti, persino populisti, o comunque tra aggregazioni che abbiano in comune non obiettivi astratti e/o generici ma visioni condivise sulle questioni strategiche (lavoro, cibo, energia, trasporti, istruzione, beni comuni, patrimonio storico-culturale) e rappresentino forze sociali esistenti, istanze reali. È indispensabile che tra le comunità e le forze sociali della Sardegna e la loro rappresentanza politica si crei una diversa forma di collegamento, non di natura puramente subalterna, non basata sul ricatto occupazionale, sulla disgregazione economica e demografica, sulla mancanza di orizzonti più ampi del proprio stomaco, ma sul loro contrario.

In questo processo, il lavorio culturale quotidiano, la socializzazione delle idee, la mobilitazione sui temi concreti (dal livello locale a quello generale), il confronto con realtà diverse (anche grazie alla nostra diaspora), diventano determinanti, certamente più delle alchimie organizzative generate dall’accordo tra leader di piccoli gruppi formali, quasi sempre autoreferenziali.

È un processo già in corso, come detto, ma va seguito e va sostenuto con l’impegno di ciascuno. Le forze ostili, benché in crisi, dispongono di risorse e di capacità di ricatto ancora molto robuste. Il rischio è che una dinamica potenzialmente emancipativa si traduca in un mutamento nominale senza alcuna mutamento sostanziale, ossia nella più classica delle rivoluzioni passive. Ed anche di ciò, da queste parti, si è già ampiamente parlato.

4 Comments

  1. L’ unità almeno negli appuntamenti elettorali è la conditio sine qua non per poter contare sulle scelte che riguardano la nostra isola, a qualunque livello. I partiti italiani, oltre che per la rete clientelare e per l’ esposizione mediatica vincono in quanto PRAGMATICI, viceversa gli indipendentisti. La vaghezza e la vacuità degli intenti sono lussi che l’ indipendentismo non può più permettersi.

    1. Mi sembrano affermazioni generiche e non messe a confronto con i dati di fatto. È facilmente dimostrabile che le cose stanno in modo molto meno schematico di così. Basti vedere le ultime elezioni regionali, tanto per dire. Il mantra dell’unità è un feticcio ideologico, di cui non sarà mai troppo presto liberarsi. Il discorso deve essere impostato in termini radicalmente diversi, a partire dalla corretta osservazione dei fenomeni socio-economici e culturali in corso. Altrimenti facciamo solo teoria e il mondo va per conto suo.

  2. Molto stimolante questo articolo, tanto che per rispondere forse servirebbero molte più parole di quelle che vi sono scritte.
    Intanto l’assunto che Nuoro che a Nuoro sia accaduto qualcosa di epocale è un tantino forzato e forse anche azzardato, visto che ancora non sono del tutto chiare le intenzioni di questa giunta.
    Intanto il programma amministrativo depositato al momento della presentazione è piuttosto lacunoso, ergo non è certo questo documento ad aver determinato questa svolta.
    Non è affatto chiaro in quali aspetti di paleserà la autodeterminazione amministrativa di Nuoro rispetto ai partiti italiani. Sappiamo tutti perfettamente che la politica sarda è organizzata attorno a centri di potere affaristici e clientelari solo incidentalmente coincidenti, a volte, con quelli dei grandi partiti italiani, le cui fortune dipendono essenzialmente dagli interessi dei gruppi succitati e non viceversa.
    Per chiarirci non è il partito xyz a determinare le scelte più o meno opportune per un determinato territorio, ma sono i gruppi, i clan, le grandi famiglie che usano quel simbolo, quando serve e lo depongono quando non è più funzionale ai propri interessi di bottega. Probabilmente è anche quello che è successo a Nuoro.
    Ma non vorrei alludere a Nuoro se non in termini generici poiché quello che è successo qui non è molto dissimile da quello che è successo in altri comuni sardi ed italiani.
    Da che mondo è mondo e specialmente nel nostro, che è piuttosto conservatore, è matematicamente impossibile che il governo di una città piuttosto importante venga consegnato in modo sconsiderato al primo che passa. In verità a volte è capitato, ma quando succede è per fattori piuttosto fortuiti piuttosto che per una presa di coscienza matura. Meteore passeggere.
    Per nulla pertinente anche l’accostamento di quello che è successo a Nuoro con il dato delle ultime elezioni regionali, se non per la quota parte del voto di protesta.
    La differenza sta tutta nella caratterizzazione molto precisa della proposta di governo regionale contrapposta alla svolta nuorese volta prevalentemente al ricambio a tutti i costi e poco altro.
    Il mondo indipendentista anche in questa tornata elettorale è rimasto ai margini, nulla ha potuto dire, ne in termini di programma e ne in termini di uomini coinvolti personalmente. Ovviamente non alludo a quelle sacche neo sardiste, che oggi amano definirsi sovranisti e che altro non è, secondo il mio insignificante parere, se non l’ennesimo inganno di far credere di decidere per i sardi per (continuare a) farsi gli affari propri.
    L’indipendentismo attuale ondeggia tra il reducismo disincantato, il movimentismo parolaio e la cialtroneria, quasi assente l’impegno diretto. A parole tutti i sardi sono indipendentisti, ma con una strana sindrome nimby, essere indipendentisti significa fare scelte dolorose tanto più quando queste riguardano appunto il proprio cortile di interessi. Ecco allora che si è indipendentisti rispetto a Roma Ladrona, ma si glissa e minimizza quando ci si accorge che il ladro ce lo abbiamo in casa o è il nostro compagno. Per essere credibile la politica indipendentista o meno dovrebbe finalmente occuparsi di quel cancro pervasivo che comincia dal clan, dalla famiglia, dai gruppi di interesse anche apparentemente minimali, posto che in queste cose ciò che oggi è minimo e locale è perché domani aspira a diventare sistemico, anzi la mia paura è che il sistema è tanto maturo ed ormai autonomo che non ha più bisogno di un paravento partitico riconosciuto, nel senso che ormai può far da se.
    Quando sento sedicenti indipendentisti che agitano lo slogan: “Facciamo lo Stato” e vedendoli agire dentro lo stato attuale, mi chiedo quanti sardi vedano davvero in quello slogan una prospettiva felice o una minaccia reale.
    Io sinceramente sono molto preoccupato, poiché vecchie persone e/o vecchi metodi non porteranno mai nulla di diverso. Insomma il buon vecchio gattopardo che ritorna.
    A.

    1. Sai bene che la vedo come te.
      Nondimeno, a prescindere dalle intenzioni della nuova giunta nuorese (che anche a mio avviso sono nebulose, specie su alcuni punti dirimenti), non si può negare che qualcosa sia successo. Vedremo se si tratta di una meteora o di una circostanza fortuita oppure se davvero è il segno di nuove possibilità politiche.

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.