Certo che, vista dalla Sardegna, la situazione in cui si trova l’Italia è particolarmente interessante. E preoccupante.
Mentre si registra l’ennesimo disastro annunciato, frutto più della solita furbizia italica (sarà la magistratura a chiarire, fin dove sarà possibile, eventuali responsabilità penali e civili) che della potenza distruttiva della Natura, la preoccupazione principale del regime è di mettere il bavaglio alla satira (caso Vauro) ed erodere i residui spazi di libera critica nel maintream televisivo. Fino ad oggi tali spazi erano tollerati come alibi, in virtù della loro scarsissima rilevanza nella formazione del consenso collettivo (vedasi qui, per approfondire). Oggi, non c’è più bisogno di alcun alibi: meglio sopire tutte le voci fuori dal coro e buonanotte. Non sia mai che il popolo si risvegli tutt’a un tratto dall’ipnosi! Nel frattempo, il Paese va a rotoli. Non è solo l’economia a declinare, ma, prima di essa, è proprio il suo tessuto sociale e culturale ad essere ormai collassato. Un tessuto mai stato troppo resistente, in uno Stato come questo, raccogliticcio, costruito a metà, mezzo vero e mezzo mistificazione ideologica, coacervo di popoli e nazioni che, all’infuori di quello televisivo, non hanno nemmeno un immaginario collettivo condiviso e una memoria storica comune. Su questa situazione già precaria di suo, insiste poi l’azione di uno dei peggiori regimi autoritari ereditati dal secolo precedente. Il quale regime, tra l’altro, non riesce nemmeno ad emulare il suo modello non proprio segreto, che, a quanto si dice, faceva almeno arrivare i treni in orario (ma allora bastava che Mussolini, senza combinare tanto casino, facesse il capo-treno, come diceva Troisi). Qui, oltre al danno di un disastro economico, sociale, etico e politico con pochi precedenti nella storia europea, si sommano il dileggio internazionale cui l’Italia è costantemente sottoposta e la figura da deficienti che gli italiani faranno fatica a cancellare nei prossimi decenni. Posto che l’umanità non si autodistrugga nel frattempo. A pensarci, sarà per questo che i governanti italici lavorano ad accelerare l’estinzione della specie umana?
E noi sardi? Be’, noi siamo “italiani speciali” anche in questi casi. Più realisti del re, si sarebbe detto una volta. Oggi come oggi possiamo giusto essere più berlusconiani di Berlusconi (e ce ne vuole, vista la sindrome egotica che affligge il personaggio, e noi con lui). Una delle creazioni più sublimi della fucina di non-senso che permea e configura la società italica e sarda (il giovanotto di Pirri vincitore dell’ultimo festival di Sanremo) è stato accolto tra i grandi della città di Cagliari, con tanto di cerimonia in consiglio comunale. Non c’è che dire: ci avvelenano e noi siamo pure contenti. Considerazione che si estende dal senso traslato a quello concreto.
La Sardegna finirà peggio dell’Italia, su questo non ci piove. Del resto, noi siamo abituati a sacrificarci per il nostro padrone (qualcuno lo vede come un motivo di vanto, qualcun altro – solo apparentemente più attento a salvare la nostra dignità collettiva – come un destino ineluttabile). Saremo avvelenati, impoveriti, privati di quanto abbia ancora un senso nel nostro patrimonio materiale e spirituale collettivo, venduti e abbandonati, senza remore, senza alcuno scrupolo di coscienza. Ce lo meriteremo. E ne saremo anche grati.
No, non c’è molto da rallegrarsi ad assistere da qui, dalla più periferica delle periferie, nella condizione di pedina più sacrificabile, alla fine ingloriosa e cruenta dell’Italia.