Tempo di elezioni politiche, in Italia. Non se ne sentiva la mancanza (sentimento preponderante, a quanto pare).
Al momento di crisi della rappresentanza politica, che la legge elettorale statale esalta, ma non crea di per sé, si aggiunge la netta sensazione che l’attuale fase storica sia quanto meno mal interpretata (per calcolo o per insipienza) dall’intero arco costituzionale delle forze politiche in campo. Alle questioni dell’energia, dei mutamenti climatici, della penuria di acqua e adesso anche di alimenti-base, alle complesse questioni geo-politiche (rapporti con la Cina e l’Asia in generale, allargamento della NATO ad est con minacce esplicite della Russia, questione iraniana, questione africana, ecc.) non si propone alcuna soluzione strategica, oppure non se ne parla proprio. Cosa mai andranno a fare in parlamento e al governo i nostri amati candidati (autonominati, ricordiamolo, non eletti dal popolo), non è dato sapere, se non indirettamente. Si son sentite risposte vecchie almeno di quaranta/cinquant’anni a problemi presenti e futuri dai connotati assolutamente inediti. La “modernizzazione”, per i maggiori esponenti politici italiani, combacia con processi che sono già oggi superati dagli eventi e richiederebbero una visione radicamente diversa. Si parla con il massimo candore di “crescita” economica, di “sviluppo”, come se non fosse chiaro che non può esistere alcuna crescita illimitata in una condizione di risorse limitate (e contese ormai da molte più persone che nel passato recente).
Così, mentre molti andranno a votare per abitudine o per disperazione, sperando di avere ancora un minimo di voce in capitolo, molti altri cittadini rifiutano semplicemente di partecipare all’evento. Mai come oggi tale posizione assume i contorni di una scelta politica vera, non dovuta a semplice menefreghismo. Il diniego del proprio voto in molti casi è argomentato con ragioni profonde e meditate, condivisibili o meno che siano. La sacralità del voto, svuotata di senso dalla legge elettorale e, più in profondità, dalle attuali dinamiche socio-economiche, lascia il posto ad un’azione politica diversa, non necessariamente culminante nel momento elettorale, ma più pervasiva. Molti di coloro che non voteranno fanno politica attiva. Fanno politica scegliendo cosa, quanto, quando e da chi acquistare beni e servizi, fanno politica nei loro comportamenti quotidiani (gestione responsabile dei propri consumi e dei rifiuti che ne derivano), fanno politica tenendosi informati e connessi col mondo (soprattutto grazie ala Rete da una parte ed alla partecipazione diretta dal basso dall’altra: fenomeni non antitetici ma anzi strettamente correlati).
Il mondo si muove, insomma, e l’umanità reagisce come può. Solo la politica istituzionale sembra ferma e sclerotizzata nell’autoreferenzialità. Ciò ne sta decretando la fine ingloriosa. Ma questa non è la fine della politica in senso assoluto. Anzi, è forse un primo passo su una strada diversa, il primo vagito di una vita nuova. Tutto sta a far prosperare i virgulti della giovane pianta, minacciati da interessi conservativi e regressivi fortissimi. Per esistere bisogna resistere. Proviamoci, insomma. Chiunque vinca queste insipide ed insulse “elezioni”.