Jannik Sinner e il problema dell’identità (tossica) italiana

Osteggiato fino a che era solo un promettente ottimo tennista, ma non ancora un indiscusso vincente, Jannik Sinner è diventato, dalla fine del 2023, un’icona nazionalista italiana, oscurando tutte le contraddizioni e le dosi di tossicità che l’idea stessa di italianità si porta appresso.

Nell’estate del 2023, alla sua rinuncia di difendere i colori della rappresentativa italiana in Coppa Davis, Sinner era stato additato come nemico della nazione, un italiano troppo poco convinto della sua italianità, nonostante gli fosse stata concessa la fortuna di nascere al di qua del confine con l’Austria (che sta a pochissimi chilometri da casa sua).

Sexten im Pustertal (o Sesto Pusteria, se preferite) è un piccolo comune montano rimasto imbrigliato nelle maglie delle trattative sui confini tra Regno d’Italia e ex Impero d’Austria dopo la Prima guerra mondiale. In realtà, geograficamente appartiene al bacino idrografico del Danubio e la sua popolazione, da molti secoli, è una popolazione tirolese, di lingua e cultura tirolese, legata da tempo immemore all’area germanofona (in senso lato) dell’Europa.

Chiunque conosca quei luoghi, a nord della stretta di Salorno (vero confine linguistico, il Brennero non è mai stato un confine di nulla) e dei passi che dividono Trentino e Veneto dal Süd-Tirol, sa che hanno caratteristiche paesaggistiche, climatiche, antropiche assai diverse da qualsiasi cosa annettiamo all’idea di italianità. Anche se non lo sai, se sei italiano, quando sei lì avverti chiaramente di trovarti *in un altro posto*. Un po’ come avviene alle persone italiane in Sardegna.

In tutto questo non ci sarebbe nulla di strano, tanto meno di disdicevole. Se non fosse che quei luoghi sono politicamente italiani, da circa un secolo. Come tali, rappresentano da sempre un problema aperto.

O meglio, dal punto di vista giuridico e politico il problema è stato chiuso positivamente dal cosiddetto “Pacchetto” di riforme del 1972, che ha istituito la Provincia Autonoma di Bolzano – Süd-Tirol, concedendole ampia autonomia e l’agognato riconoscimento della condizione di minoranza linguistica (nell’ambito dello Stato italiano, in realtà maggioranza nel territorio).

L’autonomia speciale e il distacco da Trento (obiettivo della politica sud-tirolese del secondo dopoguerra) hanno eliminato dalla scena la subalternità a cui la lingua e la cultura locali erano state sottoposte fin dai primi tempi dopo il primo conflitto mondiale e poi, soprattutto, col fascismo e dopo ancora in epoca repubblicana.

È brutto da dire e forse non è nemmeno una regola storica generalizzabile, ma la pressione esercitata sui governi italiani *anche* dalla lotta armata sud-tirolese ha avuto un esito concreto.

Certo, non si è trattato di una lotta armata stragista e allargata all’esterno dei confini locali. ma era pur sempre “terrorismo”, secondo un’accezione corrente e diffusa. In più, la controparte era soprattutto la residua, egemonica cultura di stampo nazionalista italiano e para-fascista (quando non fascista tout court), col partito MSI in prima fila a garantire la supremazia italiana sulle terre sottratte all’Impero austriaco.

Sia come sia, dal 1972 la situazione si è pacificata, la popolazione tirolese è stata libera di usare la propria lingua e di studiare il tedesco standard nella proprie scuole, coltivando i suoi rapporti storici e decisamente più “naturali” con lo spazio culturale austriaco e tedesco.

È mancata forse una forma di integrazione che superasse le differenze etnico-linguistiche. Il grande sogno pacifista e ambientalista di Alexander Langer in questo senso è uscito sconfitto.

Laddove la composizione demografica risulti grosso modo equilibrata tra italiani e tirolesi qualche attrito si avverte sempre. Nella maggior parte dei casi, man mano che ci si allontana da Bolzano-Bozen, la prevalenza numerica della popolazione tirolese riduce di molto i possibili conflitti e in diversi comuni esistono esperienze politiche locali in cui scema la distinzione linguistica.

Sopra tutto e tutti c’è poi mamma o papà SVP (Südtiroler Volkspartei, partito del popolo sud tirolese), organizzazione di stampo democristiano, moderato/conservatore, vero partito-stato (o provincia, in questo caso).

Si potrebbero dire tante cose sulla sua egemonia pressoché incontrastata di questi decenni. Non mi sbilancio a fare un paragone con paesi guidati da un partito unico, solo perché, tutto sommato, il Sud-Tirolo governato dalla SVP è una realtà comunque democratica e molto civile, compiutamente inserita nel contesto europeo.

La famiglia di Jannik Sinner è una comunissima famiglia tirolese. Benché questa cosa faccia impazzire gli italiani (dalle squadracce fasciste agli intellettuali benpensanti, magari sedicenti progressisti, che hanno voce in capitolo sui mass media), in casa si parla serenamente in tirolese (come dichiarato dallo stesso Jannik in conversazione col papa Leone XIV: ne esiste la testimonianza video, potete trovarla facilmente) e i modi di fare, le forme delle relazioni interpersonali e i riferimenti culturali sono quelli ordinari della gente di quelle valli.

Pretendere che Sinner, solo perché è uno sportivo famoso e occasionalmente difende i colori della rappresentativa statale italiana, rinneghi la sua appartenenza familiare e culturale è una forma di violenza bella e buona, prima che una balordaggine insensata.

Jannik però non è un ingenuo. Anzi, per la sua età è molto maturo e presente a se stesso. Ha una capacità di gestire le sue cose, la sua vita, sia sportiva sia extra-sportiva, davvero notevole. Sulla questione ha mangiato la foglia e di tanto in tanto rilascia qualche dichiarazione di amore per l’Italia o di appartenenza italiana, giusto per non essere sempre nel mirino dei tanti squinternati fanatici dell’italianità.

Tra i quali, tocca ribadirlo, non ci sono solo cervelli in fuga da se stessi, magari obnubilati da superstizioni mussoliniane, ma anche intellettuali riconosciuti nel panorama culturale italiano.

A un recente commento in proposito di Corrado Augias, inutilmente ostile e dal sapore vagamente suprematista, ha dovuto rispondere niente meno che Arno Kompatscher, presidente della Provincia Autonoma di Bolzano.

Che il risultato sia stato buono o così così importa meno del fatto che in questo caso la massima autorità politica locale ha preso la parola e ha dato voce al suo territorio nel contesto di una discussione dai tratti mistificatori e comunque democraticamente inaccettabili.

Detto per inciso, in Sardegna una cosa del genere non ce la sogniamo nemmeno, abituati come siamo a sentircene dire di tutti i colori, dal turista deluso perché non può rubare mezzo quintale di sabbia da una spiaggia, a qualche alto dirigente della Polizia o della magistratura. E sempre senza che la nostra politica istituzionale e la nostra intellettualità organica all’apparato di potere coloniale si sentano in dovere di metterci becco.

Per Augias e per molte altre persone italiane come lui Jannik Sinner sarebbe dunque un “italiano per caso” o “riluttante”. Ad Augias non piace come Jannik parla l’italiano. Peccato (per Augias, che non ci fa una bella figura) che invece lo parli decisamente molto meglio della stragrande maggioranza dei suoi coetanei sud-tirolesi, che l’italiano lo affrontano giusto a scuola, come materia di studio, e di sicuro non lo usano quotidianamente.

Se è per quello, lo parla molto meglio anche di una parte consistente degli italiani al 100%, o “non riluttanti”, che di norma *non* usano la lingua dell’Accademia della Crusca nelle proprie relazioni quotidiane, preferendo l’italiano regionale locale o direttamente una delle varie lingue (definite spregiativamente dialetti) proprie delle diverse zone dello stato italiano.

Al di là di questo, è vero che Jannik Sinner è un “italiano per caso”. Non è vero che sia riluttante, almeno per come si presenta pubblicamente. Ma “per caso” lo è di sicuro. Non per colpa sua.

Che colpa ne ha lui se la porzione di Tirolo da cui proviene è stata proditoriamente e insensatamente annessa al Regno d’Italia nel 1920? Ed è una sua colpa che i suoi antenati abbiano salvaguardato, a proprio rischio e pericolo, la lingua locale, con le “scuole delle catacombe” (katakombenschulen), difendendola dalla repressione fascista e poi trasmettendola a dispetto della rimozione e minorizzazione di età repubblicana?

Ma poi, cosa ci sarà di così fantastico e prezioso in quest’idea monolitica e anti-storica di italianità che l’egemonia culturale risorgimentalista e sciovinista italica da sempre vuole imporre?

L’identità italiana è in larghissima misura una mistificazione, un’identità fittizia e superficiale. Ha un certo successo nel ceto medio istruito e a livello istituzionale, ma non costituisce un elemento cardine di identificazione per moltissime persone di cittadinanza italiana. Che sono anche di altre appartenenze storiche e linguistiche, che piaccia o no.

Il nazionalismo è stato uno strumento di dominio e di repressione fin da quando si è realizzata, nel modo rocambolesco che sappiamo, l’unificazione politica italiana. Unificazione che, come avevano già lucidamente riconosciuto osservatori di varia estrazione e di diverso orientamento politico (dai primi federalisti ai vari Salvemini, Gobetti, Gramsci) è stata anche, se non soprattutto, una “rivoluzione passiva” e una annessione con sottomissione da parte di alcuni territori ai danni di altri.

È un nodo irrisolto bello grosso, questo. Molto più grosso e irrisolto della situazione del Sud-Tirolo italiano, qualsiasi cosa ne pensino Corrado Augias e i suoi emuli.

Jannik Sinner deve essere tenuto al di fuori da queste polemiche pretestuose e di stampo reazionario. È un grandissimo campione sportivo e, cosa non da poco, offre un rarissimo caso di buon esempio – per indole, per comportamento, per misura nella comunicazione pubblica – proveniente dal mondo degli sport professionisti. Specie in un posto come l’Italia, diffusamente avvelenata dalla sub-cultura calcistica.

Certo, è anche questo un tratto che ne fa uno sportivo “poco italiano”. È vero. Ma è un suo pregio. È uno dei motivi per cui personalmente lo apprezzo e faccio il tifo per lui (da ben prima che diventasse un “caso nazionale”).

La cultura sportiva (calcistica) italiana è analoga alla cultura italiana in generale, specie politica; quella in cui il principio del vittimismo aggressivo e del “chiagne e fotti” (a proposito di lingue locali) regnano sovrani. In cui la ricerca di scusanti pretestuose e di capri espiatori esterni è la regola.

Teniamocelo stretto, Jannik Sinner. Proprio perché ci si può affezionare al suo personaggio pubblico senza doversene vergognare. Proprio perché è così poco italiano. E pazienza se a molte persone italiane questo non piacerà.

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