La memoria di chi?

Spesso mettere insieme elementi apparentemente disconnessi risulta molto istruttivo. In questo caso individuo una consonanza significativa tra la Giornata della Memoria, la gita in Sardegna dei “big” della politica italiana per la campagna elettorale, i dati sulla nostra crisi economica e l’uccisione per futili motivi di un lavoratore straniero da parte di un giovinastro di Villasor.

Innanzi tutto viene da chiedersi a cosa valga celebrare la memoria degli stermini nazisti (non solo di ebrei, ma anche di rom e sinti, di oppositori politici, di omosessuali, di disabili) quando non si può inserirla in una memoria più generale della propria esistenza nel mondo. Una celebrazione del genere, la cui utilità e il cui senso non metto in discussione, alla fine per noi è solo una mera adesione passiva a modelli imposti dal circuito dei mass media e delle istituzioni. Per quanto sentita possa essere la nostra partecipazione a quei fatti, a poco vale se non la si lega con una appartenenza più vera e consapevole alle proprie vicende storiche.

Purtroppo, invece, la nostra memoria collettiva è del tutto carente. Spesso non riusciamo a collocare in modo definito nemmeno i ricordi familiari legati alle vicende commemorate, tanta è l’ignoranza di noi stessi nel tempo. Così ci sentiamo chiamati in causa nella memoria dell’Olocausto senza sapere che nostro nonno era prigionero in un campo di concentramento tedesco proprio mentre quello sterminio avveniva. O forse lo sappiamo, ma non riusciamo a collegare le due cose, vinti dalla narrazione egemonica che ci costringe dentro un orizzonte lontano, non nostro.

Intanto, mentre viene certificato da rilevazioni statistiche il degrado produttivo e sociale in cui siamo immersi, dobbiamo accogliere in pompa magna, come se ricevessimo un atto di attenzione non meritata ma salvifica, gli esponenti politici italiani che si degnano di passare qualche ora in Sardegna per la campagna elettorale. Un atteggiamento servile già visto, niente di inedito, lo sappiamo. Eppure tanto più dissonante rispetto alla terribile e concreta verità dei fatti che ci riguardano. Cosa mai abbiano da offrirci non dico di decisivo ma anche solo di vagamente interessante i vari D’Alema, Berlusconi, Monti, Bersani, Vendola o Grillo è davvero un mistero. Cosa possano fare per noi è una pura illazione. Ciò che però dovrebbe allarmarci è la perversa attitudine alla genuflessione di larga parte della nostra classe dominante, con la complicità dei mass media: mai come in queste circostanze risulta evidente il suo ruolo di mera intermediazione tra gli interessi esterni e il nostro territorio, le nostre risorse. Interessi esterni da cui trae legittimazione e forza politica (nonché i mezzi per garantirsi il consenso).

Nel frattempo la nostra vita procede secondo l’andamento dato dalle condizioni materiali, dai rapporti sociali e dalle relazioni interpersonali. Il degrado progressivo di questo tessuto connettivo è quel che più segnala la nostra fase di decadenza generalizzata. Che un diciottenne possa accanirsi su un signore più grande di lui, magari solo perché straniero, fino a ucciderlo, e per motivi del tutto irrilevanti, è forse la spia di un problema più ampio a cui non stiamo dando la risposta giusta.

Non la stiamo dando perché non ci sappiamo fare le domande, e se anche riuscissimo a farcele ci sfuggirebbe drammaticamente dove andare a pescare le risposte. Perdere la memoria di sé, la relazione profonda con il proprio territorio, col proprio ambiente, lasciare che si sfilacci la rete di relazioni in cui solo hanno senso le nostre facoltà vitali, le nostre capacità cognitive, significa indebolire pericolosamente la propria forza vitale, la propria capacità di stare al mondo. È un fatto di equilibrio. Il nostro equilibrio è perduto ormai da un pezzo. Non sappiamo più come orientarci e c’è chi su questo lucra e prospera.

Se non ritroviamo il modo di situarci nel tempo e nello spazio a poco varrà partecipare a qualsiasi Giornata della Memoria. Chi non ha una memoria propria non ha la reale capacità di immedesimazione in una memoria altrui. Non possiamo continuare a pensarci dentro un orizzonte di senso meramente televisivo, e televisivo italiano. Eppure la maggior parte dei sardi vive in questa dimensione sospesa, senza avere più appigli. Il nostro non è un genocidio come quello perpetrato dai nazisti, dai fascisti e dai loro emuli nella seconda guerra mondiale, ma solo perché è più lento. Se non vogliamo renderci complici del nostro stesso genocidio, è ora il momento di reagire, non tra quarant’anni, quando saremo molti di meno, più vecchi, più malati e ancora più poveri.

Un modo per cominciare a reagire è togliere la nostra fiducia (del resto palesemente mal riposta) alle forze politiche e ai personaggi che fin qui ci hanno governato. E non solo. È anche necessario abbandonare la comoda illusione che basti andare a votare ogni tot anni per sentirsi partecipi della sfera politica. Il voto è un rito largamente sopravvalutato e oggi come oggi serve solo a legittimare ancora i nostri carnefici. La politica comincia da casa tua, dalle tue relazioni, da come ti comporti verso le altre persone e verso il posto dove vivi, dall’assumere come tuoi i problemi di tutti e dall’impegno che profondi nel risolverli. Lì ci sono le risposte, nel recupero della memoria di sé e nell’assunzione di responsabilità. Il resto sono chiacchiere propagandistiche da fogliacci di regime.

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Omar Onnis

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