Dagli scarti nascon tesori, se capisci che la risorsa sei tu

Dagli scarti nascon tesori è il titolo di un documentario di Alessandro Mascia, Pierpaolo Piludu e Marco Gallus. La reminiscenza deandreiana del titolo non è casuale.

Cosa c’entrano le colonie penali e le comunità di recupero della Sardegna con il ciclo dei rifiuti, con la produzione agricola, con le tecniche edilizie e con la transizione ecologica? E cosa c’entra tutto ciò con la questione della subalternità sarda?

C’entrano molto, in realtà, sia in senso proprio sia in termini metaforici, e si trovano, ben assemblati, dentro quest’opera meticcia e a più mani. Gli autori sono infatti due uomini di teatro, ormai figure storiche della scena sarda, come Alessandro Mascia e Pierpaolo Piludu (Cada Die Teatro), e un videomaker rodato come Marco Gallus.

Un complesso lavoro di tessitura e di montaggio incastra insieme le immagini riprese presso la colonia penale di Isili e presso la comunità “La Collina”, a Serdiana, con interviste a diverse persone a vario titolo impegnate in ambito imprenditoriale, sociale e culturale e con spezzoni dello spettacolo teatrale Pesticidio. A fare da raccordo, visioni suggestive di alcune località sarde (realizzate da Dietrich Steinmetz). L’accompagnamento musicale, che finisce per interagire in modo forte con le immagini stesse, è tratto dal disco Meigama, del duo Mauro Palmas-Francesco Medda (di cui avevo raccontato qualcosa qui).

La prima connessione metaforica che salta all’occhio è quella tra persone considerate “scarti” della società e gli scarti materiali della nostra produzione e del nostro consumo. Per entrambi si potrebbe parlare di “riciclo”, ma questo è solo un aspetto superficiale del discorso. Quanto mostrato spinge infatti anche a porsi delle domande su come si creino questi “scarti” e se davvero si tratti di scarti e non invece di nuclei di potenzialità semplicemente mal collocate e mal utilizzate.

Da qui è più comprensibile il salto verso l’altra grande questione, che è il nostro rapporto patogeno con la terra e con la Terra. Tanto il modello di produzione del cibo, quanto quello edilizio-urbanistico e insieme ad essi la questione epocale della transizione ecologica ci chiamano in causa senza mezzi termini. E non ne usciamo bene.

Il documentario non si limita a esporre problemi macroscopici, in una sorta di rituale di contrizione collettiva. Presenta invece esperienze di successo sul piano di un’economia e di un consumo più responsabili, meno impattanti sull’ambiente e sulla vita, più consapevoli. Non un discorso astratto e/o una petizione di principio, dunque, e nemmeno un invito alla “decrescita”, ma un’elencazione di vie alternative già possibili e praticabili. E praticate. In Sardegna.

Ecco l’altro punto nodale di questa trama composita. Le esperienze virtuose, controintuitive rispetto alla narrazione dominante e al senso comune, esistono e possono avere un futuro ancora più esteso anche nella nostra isola. La Sardegna improvvisamente non è la terra dell’incapacità imprenditoriale o della disunione sistematica, dell’invidia e della chiusura culturale, ma si trasforma in un luogo di intelligenze e di progetti, di iniziative virtuose e di riflessione dal respiro universale.

Non è un escamotage narrativo, né una selezione ingannevole di eccezioni che confermano la regola. In realtà, se si andasse a cercare, di esempi virtuosi analoghi se ne potrebbero citare molti altri. Il fatto che tutto questo non goda di buona stampa e sia ignorato dalla politica istituzionale, più che a farci dubitare della sua esistenza, dovrebbe spingerci a farci delle domande sul funzionamento dei media e sulla qualità della nostra politica.

Sono questioni e temi per niente nuovi, da queste parti, e non proprio inediti nemmeno nel campo della politica, almeno di quella che agisce fuori dal Palazzo. Faticano però a farsi largo dentro l’infernale meccanismo egemonico che ha così profondamente debilitato e costantemente sviato la nostra collettività. Un meccanismo efficace, storicamente consolidato, che ha imposto stereotipi degradanti, mitologie farlocche di subalternità insuperabile, a mala pena scalfite dalle contrapposte mitologie megalomani, del tutto innocue per l’apparato del potere economico e politico.

Dagli scarti nascon tesori non indulge in alcuna forma di autocommiserazione, non indica nemici esterni, magari vaghi e indistinti, né nega l’entità dei problemi. Mette insieme esperienze reali e riflessioni proattive per offrire una visione alternativa sia del presente sia di un possibile futuro.

L’evocazione della figura di Mialinu Pira e della sua “rivolta dell’oggetto”, benché non esplicita, aleggia su tutto il documentario. Così come la figura di Antonio Gramsci, pure richiamata nei titoli di coda.

La portata dell’opera, benché essa non tocchi espressamente aspetti teorici o storici, come la questione della fase tarda dell’economia capitalista, o i temi della governance globale e dell’agenda politica dominante, tra pandemie e venti di guerra, è nondimeno del tutto politica, nell’accezione più alta del termine.

Sappiamo che alla politica politicata, in Sardegna, mancano totalmente idee e parole; sappiamo anche che troppo spesso lo stesso mondo della cultura si adagia su una sorta di patto col diavolo, convivendo con le brutture del nostro presente a patto di sopravvivere, quando pure non diventa organico al marchingegno soffocante che ci impone la subalternità e la dipendenza come condizione inevitabile. Eppure, a volte, capita un raggio di sole tra nubi nere. Questo documentario, apparentemente semplice nella sua confezione, per scelta rinunciatario quanto a cura della mera resa estetica, è però uno scrigno prezioso di contenuti e di spunti di ragionamento.

Averlo visto, come è capitato a me lo scorso 6 maggio, allo Spazio Antas di San Sperate ha certamente aggiunto suggestione alle suggestioni. San Sperate, Antas Teatro e la loro creatura Cuncambias, per tanti versi, sono tra i luoghi e le esperienze che hanno più risonanze col lavoro di Mascia, Piludu e Gallus.

In ogni caso, se vi capiterà l’occasione di vedere Dagli scarti nascon tesori, il mio invito è di non sprecarla. Sia che vi sentiate sulla stessa lunghezza d’onda di quest’opera, sia che sappiate poco o nulla dei temi e delle esperienze raccontate, sia che abbiate dubbi e timori. L’arte e la creatività arrivano spesso laddove la sola ragione non arriva. Non basterà un documentario a cambiare in meglio il mondo, o almeno la nostra porzione di mondo, ma forse può bastare, almeno in qualche caso, ad aprire uno squarcio di coscienza e a incoraggiare l’azione.

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