Guerra, democrazia e verità non possono esistere insieme nello stesso luogo e nello stesso tempo. Per questo il momento presente richiede non una ritirata della ragione, davanti al procedere della storia, ma un suo surplus, per quanto difficile sia. Sempre che democrazia e verità ci stiano a cuore più della guerra.
Sono spaventato dalla deriva bellicista e autoritaria che sta prendendo l’Europa, di pari passo con i problemi sociali e ambientali e con la crescita delle destre politiche. Da anni, e a maggior ragione da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, sostengo che l’Europa dovrebbe assumersi delle responsabilità in termini collettivi, come spazio democratico, garante dei diritti dei popoli e di tutti gli esseri umani. Una pia illusione, probabilmente, vista la classe dirigente europea; ma come orizzonte ideale continua a non sembrarmi malvagio.
Purtroppo i mass media non aiutano, soprattutto nello spazio culturale italiano. Gli organi di informazione, in Italia, sono controllati dalla politica o da grandi gruppi economici. Da cui dipendono anche le fortune di molta parte del ceto intellettuale. La libertà di stampa e di parola esistono sulla carta, ma nella realtà fanno fatica a sopravvivere, con poche eccezioni che consentono di mantenere in piedi la finzione.
Da settimane la classe dominante italiana spinge affinché l’opinione pubblica accetti il mutamento di paradigma politico in corso. Un processo già avviato grazie alla pandemia, durante la quale la comunicazione pubblica è stata infarcita di terminologia bellica. Che sia stato un generale – sempre in divisa – a guidare l’apparato che doveva gestire la vaccinazione di massa non è un caso.
Stati di emergenza, lessico e atteggiamenti guerreschi, insieme alla retorica e alla simbologia nazionalista, sono già entrati nel senso comune delle persone. Eppure, nonostante questo, la maggioranza della popolazione è ostile alla guerra e a un coinvolgimento diretto dell’Italia e dell’Europa nel conflitto. Almeno, stando ai reiterati sondaggi in proposito (ma guardate bene i quesiti delle rilevazioni demoscopiche: quasi sempre tendono a orientare le risposte nel senso opposto).
Al contempo, è chiarissimo il senso di solidarietà verso il popolo ucraino e non si contano le iniziative di soccorso attivo messe in campo, a tutti i livelli, fin dall’inizio dell’invasione russa. Se sembra che in tutto ciò ci sia qualcosa di contraddittorio, è perché si ragiona sempre e solo in termini semplicistici, binari, ideologicamente condizionati.
La contrarietà alla guerra, a questa guerra e alla guerra in generale, come strumento di risoluzione delle controversie internazionali (cit.), è ampia e ben distribuita. Una fetta consistente della popolazione europea sa benissimo chi è l’aggredito e chi l’aggressore, nella vicenda ucraina, ma non per questo accetta lo schema guerrafondaio, ipocrita e affaristico che le classi dirigenti stanno cercando di imporre egemonicamente. Per adesso forse questo è l’unico elemento di parziale consolazione.
È anche un fenomeno che manda in bestia i portavoce degli apparati di governo e dei gruppi di interesse privati che vorrebbero avere le mani libere per gestire la faccenda a modo loro. Soprattutto in Italia, gli editoriali dei grandi organi di stampa trasudano fastidio, quando non odio vero e proprio, verso il popolo, evidentemente non troppo bue, e verso le voci dissonanti e dissenzienti, verso la narrazione dominante.
Su questo andrebbe fatta qualche precisazione. Sul fronte che si oppone alla guerra come strumento politico ordinario e che non vuole aderire alla chiamata alle armi contro la Russia, la maggior parte delle persone e delle organizzazioni non sostiene affatto le ragioni di Putin; ma una minoranza sì. Si tratta di sparuti gruppi rossobruni o apertamente fascisti, di residuali schegge della sinistra di movimento che ragiona ancora secondo i vecchi schemi della Guerra fredda, di una manciata di opinionisti, già attiva negli anni scorsi – e probabilmente non a titolo di volontariato – nel sostegno implicito o esplicito alle ragioni del regime putiniano.
È noto che Putin e soci hanno investito moltissimo, in passato e fino a ieri, nella propaganda diretta e indiretta così come nel sostegno, se non nell’aperto finanziamento, di organizzazioni di estrema destra in tutto il mondo. In Europa, tutta la destra, in tutti i paesi, è stata a lungo schierata pro Putin.
Solo ultimamente, dopo, l’invasione dell’Ucraina, si sono aperte delle crepe in questo fronte altrimenti compatto, con i leader più in vista e più ambiziosi che hanno cercato di cancellare le tracce, anche recentissime, delle loro simpatie putiniane. In alcuni casi – come in Polonia e nei paesi baltici – la destra ha sempre condiviso l’orientamento reazionario, xenofobo e anti-democratico del regime di Putin, ma lì prevale la storica ostilità verso la Russia. Giusto un politico grossolano come Salvini, viziato dal confortevole e a lui favorevole ambiente mediatico italiano, poteva incorrere in una figuraccia come quella da lui fatta in Polonia poche settimane fa.
Non parliamo poi dell’ampia fetta di classe dirigente europea che a parole condannava il regime russo e nei fatti ci faceva lauti affari. Cosa che in buona parte avviene ancora adesso, per altro. Quando smetteranno di farci affari, il conto lo faranno pagare a noi (tenete presente il discorso di Draghi su pace vs. condizionatori).
Ma in definitiva, le vere simpatie per Putin sono quelle fasciste o rossobrune. Diffuse e in qualche modo radicate, più forti in Italia che altrove, ma non così preminenti, rispetto al tema più ampio della guerra e delle scelte da fare in proposito.
Il problema è che anche molta parte della sinistra non pregiudizialmente favorevole a Putin e del mondo dell’attivismo sociale, per prendere le distanze dallo schema ideologico che i governi e i mass media sembrano voler imporre, si servono di retoriche che troppo spesso ricordano quelle delle fazioni filo-putiniane e della propaganda russa.
Il rifiuto della visione bellicista e dello schiacciamento dell’Europa sugli interessi USA, benché sacrosanto, non ha bisogno di argomentazioni precariamente fondate o addirittura basate su informazioni fasulle. Non serve affatto sostenere le ragioni della Russia putiniana nel Donbass, bersi e replicare a pappagallo le esagerazioni o le invenzioni di sana pianta sul peso e la forza dei neo-nazisti in Ucraina, o la lettura dei fatti di Euromaidan e della seguente fase politica come colpo di stato “nazista” a cui avrebbero resistito eroicamente “i partigiani” di Donetsk e Luhansk.
Su questo va fatta una seria riflessione. Si dice spesso che “le cose sono più complesse di così” e di solito è vero. Ma poi bisogna rispettare questa complessità e riuscire ad articolare un discorso che ne tenga conto, specie se non si vuole riconoscere la legittimità dello schema binario, delle opposte tifoserie, così come ci è imposto da governo e mass media.
Questo problema mi angoscia e mi sconforta soprattutto riguardo la Sardegna, che di suo si trova in una condizione particolare. Colonia interna, sottoposta a un’occupazione militare (italiana, non direttamente NATO) invadente di ampie porzioni di territorio, sotto le grinfie di un’egemonia culturale retriva e spesso razzista (e auto-razzista), oggetto di potenti speculazioni, che minacciano di aggravarsi in modo decisivo nel prossimo futuro: come può sperare in un riscatto da tale e tanta subalternità se rinuncia a uno sguardo autonomo e libero sulle questioni internazionali?
Invece anche nell’isola, come segnalato più volte, domina l’adesione pressoché meccanica e acritica agli schemi imposti dall’egemonia culturale italiana, compresa l’opposizione al discorso governativo. Il che implica una serie di errori di valutazione e di posizionamenti che stridono ed entrano in contraddizione con le aspettative di democrazia e di autodeterminazione.
Su alcune cose va fatta chiarezza e va assunta una posizione che rispecchi l’articolazione reale dei fattori storici e delle relazioni politiche e sociali della vicenda ucraina. In larga misura sono problemi che ci toccano da vicino, almeno in termini di consonanza e di analogia.
Non dobbiamo avere paura della verità, la labile e complicata verità storica, né dell’onestà intellettuale e politica. Soprattutto dove non ci sono posizioni di vantaggio sociale e grandi interessi materiali da difendere, questo sforzo di pulizia e di integrità è doveroso. Ed è doveroso ricostruire uno spazio di discussione e di azione politica democratica in cui prevalgano le cose che si condividono e ciò che di buono si può fare assieme, piuttosto che discordie nate su un terreno puramente comunicativo e retorico, per altro pesantemente inquinato da elementi discorsivi esogeni.
Io, fossi al posto di qualche persona indipendentista a cui le ragioni della Russia sembrano valide, mi farei delle domande. Ci sono troppe prese di posizione che stridono con le nostre stesse pretese e con le argomentazioni che di solito usiamo per sostenere il diritto all’autodeterminazione della Sardegna. Per di più, troppe asserzioni si basano su paralogismi e su assunti indimostrati, o su vere e proprie informazioni false.
Il giorno che la Sardegna si libererà dal dominio italiano e l’Italia comincerà ad accampare diritti e a cercare pretesti per riprendersela, magari sostenendo che la Sardegna è sempre stata italiana, che anzi è la culla dello stato italiano e che – per dire – ad Arborea vive una popolazione italiana vessata, e dopo un po’ invaderà l’isola, tu da che parte starai?
L’Ucraina, come stato e come popolo, ha pieno diritto all’autodeterminazione e a difendersi da un’invasione. Poco importano le ragioni dell’invasore.
Sostenere che il Donbass ha diritto all’autodeterminazione ma l’Ucraina no, è una sciocchezza. Tanto più che il Donbass non è un’entità territoriale a cui corrisponde una comunità umana distinta. È territorio ucraino (secondo il diritto internazionale), abitato in assoluta prevalenza (almeno, prima della guerra) da persone ucraine. In molti casi russofone (ma tutte le persone, in Ucraina, sono almeno parzialmente russofone), in alcuni casi russo-file. Le due categorie non coincidono, come emerge da qualsiasi onesto resoconto dal campo. L’equivoco, a quanto pare, ha fregato anche Putin e i comandi russi.
Il destino del Donbass, in un mondo ideale, dovrebbero deciderlo le persone che vi abitano. In questo senso si può parlare di diritto all’autodeterminazione. Ma ovviamente si tratta di un mero auspicio, almeno finché c’è la guerra.
Sostenere che l’Ucraina è un paese nazista e che la popolazione ucraina è nazista è una falsità grossolana ed è anche offensivo. Che in Ucraina esista da tempo un forte sentimento nazionale, sorretto anche da una certa diffidenza verso la Russia, è vero ed è anche perfettamente comprensibile. Spesso la diffidenza, se non l’ostilità, verso la Russia si accompagna a diffidenza e ostilità verso il comunismo. Ma “comunismo”, in tutta l’area ex sovietica, spesso ha la valenza che in altri paesi ha il fascismo o comunque identifica un regime dispotico e straniero di cui ci si è liberati. Se non ci sforziamo di capire questo, non capiamo nemmeno il resto. Che il sentimento nazionale (e nazionalista, certamente) delle persone ucraine sia cresciuto negli ultimi tempi, e a maggior ragione con l’invasione subita dalla Russia, è non solo un dato di fatto ma è a sua volta del tutto umano. E non equivale a un’adesione di massa al fascismo. L’Ucraina non è più fascista della Russia e nemmeno dell’Italia.
Sostenere che l’Ucraina non ha diritto a difendersi è una pretesa davvero stupida e per molti versi disumana. C’è bisogno di spiegare perché? E poco importa se riceva armi dall’esterno, magari dai paesi NATO (in realtà anche da altri). Quando erano i Curdi del Rojava a essere spalleggiati, in qualche misura, dagli USA, nella loro guerra contro l’ISIS, molti a sinistra hanno storto il naso e hanno tolto la propria simpatia alla rivoluzione confederalista. Una presa di posizione che ho sempre trovato ottusa e parecchio ingiusta. Quando sei impegnato in un conflitto contro un avversario forte, determinato, crudele, che minaccia di annientare te e la tua comunità, combatti con le armi che hai e, se qualcuno te ne fornisce delle altre, le accetti con gratitudine. È davvero così difficile da capire?
Non si tratta della famosa massima secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Anche perché spesso il nemico del mio nemico è un elemento peggiore del mio nemico e sarebbe meglio non averci niente a che fare. Non si tratta di ragionare in termini così astratti ed elementari.
Chiaro, che la NATO, gli USA e diversi paesi europei stiano speculando, politicamente ed economicamente, su questa guerra è vero, ed è una faccenda piuttosto criticabile; specie per la retorica che l’accompagna e per le sue modalità concrete. Ma questa critica si muove su un altro piano e bisogna essere in grado di distinguere.
Putin non ha alcuna ragione valida, per invadere l’Ucraina. Il più volte menzionato accerchiamento NATO, che è più un’iperbole che una realtà di fatto, rischia di diventare più concreto adesso di quanto non sia mai stato prima. Non c’è qualcosa di stonato in questa giustificazione ipocrita di una pulsione totalmente, e banalmente, imperialista? Non bastano le dichiarazioni pubbliche dello stesso Putin e di diversi altri esponenti dell’establishment russo per capire la vera natura di questa guerra?
Confondere il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina con gli interessi geopolitici degli USA è un altro errore di valutazione abbastanza evidente. Non perché gli USA non coltivino i propri interessi geopolitici anche tramite la guerra in Ucraina, ma perché la vicenda non si può ridurre a tale aspetto. Se gli USA, di punto in bianco, difendessero il diritto all’autodeterminazione della Sardegna, esso diventerebbe d’un tratto illegittimo solo per questo?
Guardare alla guerra in Ucraina solo con le lenti dell’antagonismo verso la NATO e gli USA è fuorviante. Non c’è questo aspetto, in gioco. Sicuramente, non è quello il punto decisivo per la Sardegna. Che ha sempre meno a che fare con la NATO e con gli interessi strategici USA. Si può insistere nella retorica anti-NATO e anti-USA, ma suona sempre di più come una posizione astratta, slegata dalla realtà concreta della Sardegna. Il mondo è diverso da cinquanta e anche da trent’anni fa. L’epoca d’oro dell’egemonia globalista targata USA è agli sgoccioli e questa guerra potrebbe essere la sua sentenza di morte. Dobbiamo maturare uno sguardo più aggiornato e dotarci di strumenti interpretativi più al passo coi tempi. Senza rinunciare ai principi di pace, solidarietà internazionale, giustizia sociale, salvaguardia ambientale, che costituiscono il nucleo fondativo di qualsiasi istanza democratica di oggi e dei prossimi anni.
Si può essere ostili alla guerra e promotori di pace senza disconoscere la sofferenza del popolo ucraino e senza giustificare la sua sottomissione all’imperialismo russo. Si può e si deve. Dopo di che, bisogna anche ragionare in termini pragmatici su come far cessare il conflitto, su come garantire i diritti dei popoli coinvolti e su come costruire uno scenario internazionale che non si basi sulla stupida competizione tra potenze e tra nazioni (entità la cui natura andrebbe discussa) e non sia ancorato al modello economico estrattivo e di iper-sfruttamento degli esseri umani e delle risorse, in nome del profitto privato. Bisogna provarci. Rinunciando ai posizionamenti di comodo, a slogan triti e fuori tempo massimo, alla pigra reiterazione di argomentazioni astratte. È a questo che dovremmo lavorare, anziché perdere tempo a litigare su Facebook e ad alimentare il grande gioco di ruolo in cui i governi e i grandi padroni del mondo vogliono relegarci.
Segnalo questo pezzo di Franco “Bifo” Berardi, al solito molto lucido nella sua disamina, che condivido in larga misura (del resto, consuona con cose scritte qua sopra e in altre circostanze).
Condivido pienamente il contenuto dell’articolo e soprattutto mi fa piacere non essere più solo nell’osservare, da indipendentista di sinistra, una sorta di corto circuito dell’equidistanza che si traduce in un continuo starnazzare sui social, dove addirittura grazie al fact checking indipendente di nostro cugino veniamo a sapere che a Bucha è tutto finto. La retorica usata da alcuni indipendentisti sull’attuale conflitto, a mio avviso, è disarmante. Al netto delle poche precisazioni, e anche timide peraltro, ciò che traspare dai profili di qualche indipendentista è tutto tranne che l’umana comprensione. Alcuni sono realmente convinti che l’Ucraina debba essere denazificata. A queste persone non affiderei neanche una riunione di condominio. Grazie per questo articolo.
Altro articolo che merita di essere letto e meditato. È un’intervista alla docente di economia politica presso l’università di Greenwich, ucraina e di sinistra, Yuliya Yurchenko. Anche in questo caso le consonanze con quanto scritto sopra sono evidenti.
Lo preciso a uso e consumo di quantə mi hanno chiesto fonti e pezze d’appoggio delle mie affermazioni (del resto, come si vede, non molto originali).