Al cospetto del bombardamento mediatico e politico sull’intera questione covid è difficile mantenere uno sguardo libero e lucido sulle diverse questioni aperte dalla gestione della pandemia. Difficile ma tanto più necessario.
Occorre sforzarsi di fare tutti i distinguo che la narrazione mainstream, alimentata e resa solo più complicata dalle discussioni sui social media, veicola e impone egemonicamente.
Ancora in questi giorni, articoli, commenti e dissertazioni varie, nonostante sia passato un anno e mezzo dall’inizio conclamato della pandemia, cedono troppo facilmente – a volte intenzionalmente a volte no – alle cornici imposte da governo e mass media principali, cascando con entrambe le scarpe nelle varie trappole discorsive.
Chi cerca di mettere insieme un’analisi meno succube o semplicemente esprime critiche su questa o quella misura governativa viene etichettato molto rapidamente e con estrema faciloneria come “no-vax” o “negazionista”, spesso prescindendo dal contenuto delle critiche, o addirittura partendo da premesse fallaci o del tutto scorrette in linea di fatto.
Ci sarebbe invece da farsi delle domande sul perché le massime cariche dello Stato, così come i mass media, diano informazioni false e facciano opera di propaganda sulla base di asserzioni tutt’altro che dimostrate.
In questo senso, tanto il governo Draghi quanto il presidente Mattarella si stanno assumendo gravi responsabilità politiche. Di cui spero che un giorno si possa chiedere loro conto. La loro (immeritata) santificazione “a reti unificate” è uno degli aspetti più disgustosi e preoccupanti di questo delicato passaggio storico e politico.
Non so in altri paesi, ma in Italia sembra sempre che la classe dominante, nelle sue varie articolazioni, preferisca trattare i cittadini alla stregua di un volgo ignorante e facilmente manipolabile, un popolo minus habens, da intortare, confondere, persuadere con ogni mezzo. Per il suo bene, certo. Ma soprattutto per il bene dei ceti e dei territori dominanti (che poi sono sempre quelli, da 160 anni). Con un sistematico approccio paternalista, non contemplabile tra i tratti caratteristici di una democrazia compiuta.
Le prese di posizione delle singole persone, di conseguenza, sono quasi sempre frutto di fraintendimenti provocati da tale meccanismo egemonico pervasivo, restando dunque sterili, traducendosi in mere contrapposizioni polemiche, dentro le dinamiche di competizione e di punizione/gratificazione ormai diffusamente imposte dai social media.
Pochi gli spazi e le voci dissenzienti. Lasciamo perdere la sparuta e scalcagnata minoranza di creduloni che abboccano alle panzane complottiste. Teniamo da parte, per un momento, anche il fascistume e il cameratume opportunista, che mette il cappello su queste tendenze, le alimenta in modo surrettizio, se ne fa arbitrariamente portavoce. Sono fenomeni esistenti, ma godono di una copertura mediatica largamente sproporzionata rispetto alla loro consistenza reale. Anche su questo bisognerebbe farsi delle domande.
Le voci dissenzienti a cui mi riferisco sono quelle che non rinunciano alla riflessione e alla critica argomentata, che affrontano la questione della gestione pandemica cercando di tenere distinti i suoi vari aspetti, mantenendo una vigilanza costante sui dispositivi usati dal potere per imporre misure e condizionare la vita e le stesse percezioni dei cittadini.
È un lavoro difficile e spesso mal ripagato. Penso alla mole di ragionamenti e di confronto di cui si è sobbarcato il collettivo Wu Ming fin dall’inizio della crisi e che ancora in questi giorni fornisce analisi, dati, strumentazione critica (per es. qui, o qui).
Ma penso anche ad altri spazi e altre voci che comunque non hanno rinunciato al libero scrutinio della propria ragione sulle varie misure governative, sulle narrazioni dominanti, sulle conseguenze della pandemia e della sua gestione.
Il discredito che anche molta sinistra, più o meno organizzata, anche non governativa e spesso anche radicale, muove a tali tentativi di libero discernimento sono allarmanti quanto e forse più delle trovate dei governi e dei grandi operatori economici globali, perché suonano come una resa, come una adesione pavida o ignara, passiva, al discorso della controparte. Su questo terreno, condivido e rilancio la preoccupazione espressa sul suo blog da Loredana Lipperini. E ci aggiungo un altro carico: la mancata apertura di un serio e articolato dibattito su queste tematiche in Sardegna.
La Sardegna appare come una zattera scassata in balia delle correnti, alla José Saramago. Per giunta, governata da furbastri matricolati e impiastri vari, abili a fare da mosche cocchiere di un destino sempre troppo dipendente da scelte altrui, per lo più dannose.
E allora bisogna continuare a discernere, provare sempre a fare un discorso di verità, per quanto fastidioso possa suonare.
Per dirne una, la contrarietà o anche solo la critica verso una misura politica (non sanitaria) come il green pass, non coincide con una assoluta contrarietà alla politica vaccinale in quanto tale.
Criticare la politica vaccinale, a sua volta, non significa ostilità ideologica, a-scientifica, verso i vaccini.
Valutare le scelte governative adottate contro il contagio, a livello centrale o locale, e fare delle obiezioni, non significa sminuire il peso e la pericolosità della pandemia.
Osteggiare il discorso autoritario del debunking contro ogni forma di contestazione rivolta alle politiche sanitarie e muovere delle obiezioni alla modalità “Burioni” di imporre le proprie posizioni non significa affatto sposare acriticamente le posizioni no-vax o aderire a qualcun’altra di queste etichette mediatiche di comodo.
Non mi aspetto nulla di buono dalle varie articolazioni dell’oligarchia dominante, così come dai suoi portavoce (ossia la maggior parte degli organi di informazione, a partire da quelli televisivi). Mi aspetto invece molto di più e di meglio da chi propugna valori e obiettivi politici democratici, egualitari, ecologici, di sinistra, socialisti. E mi aspetterei molto di meglio e di più anche dall’ambito intellettuale. In questo caso il condizionale è d’obbligo, considerata la realtà italiana. Su quella sarda, preferirei non infierire. Tanto più notevole, dunque, che alcune centinaia di accademici italiani si siano spesi per sottoscrivere un appello contro l’adozione del green pass: tutti no-vax anche loro?
I motivi per avere dei dubbi sono molti e consistenti. Per esempio, mi chiedo come non sia evidente la contraddizione tra l’ideologia individualista e competitiva imposta al mondo negli ultimi quarant’anni e la pretesa, ora, che le aspettative, i timori e le volontà individuali siano cancellate in nome di un (preteso) interesse collettivo. Addirittura si propugna il valore *morale* della vaccinazione e dello stesso green pass (in modo capzioso, dato che si tratta di due piani e due questioni diverse).
I paladini del liberismo più oltranzista sono spesso allo stesso tempo i maggiori propagandisti a favore dell’imposizione di misure politiche autoritarie. Il che conferma, tra le altre cose, quanta ipocrisia “di classe” e quanta pulsione anti-democratica profonda animino le posizioni sedicenti liberiste-liberali.
Mi colpisce poi l’ingenuità e l’incoerenza fanciullesca con cui si perde di vista la natura eminentemente diversiva, distraente, di molte misure governative relative alla pandemia. E questo fin dall’inizio della crisi. La pandemia è stata ed è ancora usata come arma di distrazione e/o di persuasione di massa, per far passare una riorganizzazione sociale e politica ancora più favorevole ai grandi interessi economici e ai governi (a loro volta espressione di rapporti sociali sempre più polarizzati). Questa riorganizzazione non scomparirà con la fine della pandemia, meglio cominciare a farsene una ragione. Posto che davvero i governi stiano lavorando per far finire la pandemia.
Anche su questo i dubbi sono legittimi. Si pensi all’estrema contraddittorietà di molte scelte adottate, non ultime le regole che presiedono al funzionamento dello stesso green pass (una per tutte: è obbligatorio sui mezzi di trasporto a lunga percorrenza – aerei, navi, treni ad alta velocità – ma non sui mezzi locali, ossia quelli presi quotidianamente dalla grande maggioranza della popolazione). Ma sarebbe bastato leggere le raccomandazioni dello stesso OMS in proposito, per farsi un’idea meno ottusa.
E perché eludere sempre, in tutti i discorsi, l’enorme problema dei diseredati della Terra, per cui i vaccini sono inaccessibili, al di là di qualsiasi volontà propria? Prendiamo la questione della “terza dose”, sconsigliata o comunque nient’affatto prescritta dalle autorità sanitarie internazionali, ma costantemente ventilata come necessaria e opportuna dalla politica e dai mass media. Ha senso? Idem per la minacciata vaccinazione degli under 12. Nei paesi ricchi, beninteso. Con almeno metà dell’umanità totalmente privata di qualsiasi copertura profilattica.
Ugualmente dimenticati sono i veri nodi che le cervellotiche misure governative, degne dello Stato libero di Bananas, si sono premurate di nascondere. Senza scioglierli. Decenni di tagli a scuola, sanità, trasporti, servizi sociali ora presentano il conto. Eppure è stato fin troppo facile mistificare questi aspetti decisivi. È bastato inventarsi capri espiatori di comodo. E parlare, che ne so, di “medici no-vax”, per far sparire magicamente la drammatica situazione della sanità pubblica. O fare terrorismo mediatico sul presunto personale scolastico no-vax (laddove il personale scolastico è vaccinato per più del 90%), onde lavarsi serenamente le mani delle disastrose condizioni materiali e organizzative della scuola.
Come si vede, in tutto questo discorso non ho accennato minimamente ad argomentazioni scientifiche o a questioni strettamente epidemiologiche. Benché i portavoce governativi e il tam tam mediatico usino sistematicamente la Scienza come “argomentazione fine di mondo”, la scienza, per come è, per come funziona, resta totalmente estranea a questi dispositivi.
La scienza non è un’entità disincarnata, astratta. È un insieme di relazioni umane, di interazioni tra esseri umani e tecnologia, di interessi materiali, di processi, prove, errori, che non prevede, per sua natura, alcun principio di fede. Sostenere che si afferma una cosa o si prende una decisione perché “così vuole la scienza” è una fallacia argomentativa non da poco. Quand’anche non sia un puro e semplice trucco retorico. La scienza esclude, di per sé, qualsiasi approccio dogmatico, qualsiasi principio di autorità. Anche qui mi pare che troppe persone, a loro dire preparate e istruite (non sia mai!), abbiano abdicato alla doverosa vigilanza della ragione.
Dovrebbe essere evidente che il vero timore delle classi dominanti non sono le contestazioni ai vaccini o alle misure governative sul piano scientifico, bensì quelle che chiamano in causa i rapporti sociali e le narrazioni ad essi strumentali.
Negare che nella questione della politica vaccinale abbiano un ruolo gli interessi privati delle grandi corporation è negare l’evidenza. Se sono solo gli sparuti e improvvisati manipoli di cosiddetti no-vax a sollevare la questione, magari fiancheggiati e strumentalizzati da frange fasciste, significa che tanti altri soggetti, specie a sinistra, hanno abbandonato il campo. Dov’è e di chi è la responsabilità di questa mancata presa in carico di tale questione?
Trattandosi di materia politica, è dunque necessaria una riflessione politica. Possibilmente non tossicamente “virocentrica”, ma ad ampio spettro. E con un occhio sempre rivolto alla crisi climatica e ambientale (dunque economica e sociale) in corso.
Su quest’ultimo tema, noto di passaggio che negli ultimi giorni si è riusciti a rispolverare persino la fanfaluca del “nucleare di quarta generazione” (che non esiste), perorando la causa atomica come soluzione “ecologica”. Ed è la stessa gente che ovviamente è a favore del green pass e dell’obbligo vaccinale. Io qualche dubbio me lo farei venire già solo per questo.
Insomma, nell’enorme complessità di questi tempi, rinunciare al senso critico e cadere nella trappola delle facili polarizzazioni mediatiche non pare proprio il miglior servizio che possiamo fare alla collettività.
Bisogna restare lucidi, avere ben presente quali sono le parti in contesa e riflettere sulla base di tutti i fattori in gioco, senza auto-inganni, senza cedimenti. Perché parti in contesa ce ne sono sempre, a dispetto della retorica nazionalista imperante, ma non è affatto detto che siano quelle per cui siamo sollecitati a fare il tifo dai media e dalla politica.
Non cadiamo nella trappola. Se ci siamo caduti, usciamone. La china che stanno prendendo gli eventi è tutt’altro che rassicurante. E non certo a causa, o solo a causa, del SARS-CoV-2. In Sardegna dovremmo saperlo meglio che altrove.