Reddito universale incondizionato e ambito culturale: una risposta strutturale per la crisi da covid-19 e per il futuro

Unemployment and the corporate profit glut | occasional ...

Dalla Catalogna arriva un documento reso pubblico il 4 maggio scorso e sottoscritto da centinaia di esponenti del mondo della cultura in tutte le sue declinazioni, a favore del reddito universale incondizionato come soluzione strategica e permanente.

È una proposta seria e ponderata, che poggia su una riflessione ormai pluridecennale tornata alla ribalta in queste settimane di emergenza sanitaria e di interruzione forzata e brutale di tutte le attività culturali.

Ne ho accennato io stesso in diverse occasioni, ma questo documento ha la forza della sintesi e al contempo la lucidità argomentativa che a volte manca a questo genere di iniziative. Una proposta tanto più rilevante in un contesto come quello sardo, al contempo ricco di beni e di produzioni culturali, di occasioni di condivisione, di sensibilità e aspettative diffuse, ma sempre in debito di possibilità di remunerazione per i mestieri della cultura.

Naturalmente, questo ragionamento è esterno e direi anche alternativo a un’ideologia che commisura tutto sul profitto individuale monetario, sulla competitività e sull’esclusione sociale e pretende che l’unico arbitro della vita e delle relazioni umane sia il meccanismo di mercato, lasciando la soluzione pratica dei problemi sociali a fantomatici “effetti sgocciolamento” (ossia, favorire i ricchi per far cadere qualche briciola fino ai piani sottostanti).

Ideologia e pretese che mai erano state smentite così categoricamente e con tanta cruda solidità di riscontri fattuali come in questi tempi di epidemia globale.

Preciso anche che questa proposta non ha nulla a che fare con i vari “redditi di cittadinanza” evocati e formalizzati dal governo italiano in questi ultimi anni, come con qualsiasi altra misura di sostegno condizionato e limitato all’occupazione o al reddito. È proprio un’altra filosofia.

Condivido spirito e contenuto di questo manifesto e lo rilancio volentieri.

Ringrazio Stefano Puddu Crespellani per averlo tradotto e per avercelo messo a disposizione.

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Persone che lavorano nell’ambito della cultura, a favore di un reddito universale incondizionato.

Come firmatari/-e di questo manifesto, siamo convinti che un reddito universale e incondizionato sia la migliore iniziativa di politica culturale possibile, e invitiamo altre persone attive in ambito culturale, e in generale ogni tipo di organizzazioni e collettivi, a informarsi, riflettere e dare pubblico sostegno a questa misura, perché venga promossa e messa in atto dalle istanze politiche che devono garantirne la fattibilità.

Vogliamo chiarire da subito, come già da anni spiegano le voci che difendono questa proposta, che quando parliamo di reddito universale ci riferiamo a un *reddito mensile di un valore minimo che corrisponda alla soglia di povertà*, a cui abbiano diritto senza condizioni né esclusione tutte le persone, per poter garantire loro il diritto alla vita, e non ci riferiamo ad alcun altro tipo di reddito o misura economica specifica per la cultura né per alcun altro settore in particolare. Un reddito di base per tutti migliorerebbe la vita di molte persone, e allo stesso tempo migliorerebbe le condizioni delle pratiche artistiche e culturali.

Pensiamo che sia una misura necessaria come meccanismo di ridistribuzione della ricchezza perché, in un contesto in cui la disoccupazione generale è così elevata e, a quanto pare, destinata ad aumentare, il lavoro non è più credibile come unica modalità per garantire la vita. Per ciò che riguarda il lavoro culturale, veniamo ormai da troppi anni di precarietà —con entrate al di sotto dei 6.000 €/anno per molte persone, che devono sopravvivere a base di lavori-spazzatura e per pura forza di volontà— e siamo quindi in grado di affermare che non è più realistico immaginare che si possa condurre una vita dignitosa nelle condizioni imposte dal mercato del lavoro. Il reddito universale di base migliorerebbe la vita di milioni di persone disoccupate, di milioni di persone che sopravvivono con lavori in condizioni di sfruttamento, e migliorerebbe anche la vita della gran maggioranza di persone che dedicano il proprio tempo di lavoro ad attività culturali, in un modo che supera le aspettative che potrebbe generare qualunque misura culturale specifica.

Il lavoro culturale è anche, come stiamo vedendo, un territorio di conflitto, in cui le condizioni della negoziazione fanno sì che vengano accettate condizioni di sfruttamento per mancanza di alternative: si associano degli immaginari culturali a marche commerciali, in conflitto frontale con ciò che si vorrebbe affermare; si subiscono situazioni contrattuali illegali e ingiuste; ci si subordina a imposizioni ed arbitrarietà politiche… Un reddito universale incondizionato può significare, nel campo culturale come in tanti altri, un miglioramento in grado di dare maggiore autonomia e capacità di negoziazione alle persone lavoratrici che si trovano in tali situazioni. Con un reddito di base saremmo in condizione di poter dire “no”.

Il reddito universale ci sembra vantaggioso per la cultura perché ne beneficiano direttamente le persone che ne hanno bisogno, senza deviare le risorse nelle strutture, come fanno tanti sistemi di finanziamento pubblico, che viene disperso in un flusso di ricchezza che dovrebbe scendere dall’alto verso il basso ma che non arriva mai in basso, e in cui così spesso vengono consolidate le disuguaglianze e si finisce per favorire chi ne ha meno necessità. Pensiamo che questo capiti nella cultura così come in molti altri ambiti in cui la ricchezza non riesce mai a “scendere”. Se occorrono strutture, ci penseremo insieme a crearle.

Crediamo nel reddito universale anche come alternativa ai labirinti burocratici delle sovvenzioni, delle condizioni imposte ai lavoratori autonomi, e dei tanti altri meccanismi di sussidio, anche fuori dal mondo della cultura, sempre discriminatori, sempre centralisti, sempre controllanti, sempre umilianti, e spesso così costosi, sia per l’apparato amministrativo che richiedono (quanti euro vengono spesi in gestioni burocratiche per ogni euro che arriva a destinazione in una sovvenzione culturale?). Non occorre fare tante domande. Abbiamo diritto a vivere.

Difendiamo un reddito universale che però non serva da scusa per smantellare quelle risorse comuni statali che aiutano a sostenere la vita. Vogliamo un reddito universale che semplifichi le cose, sì, ma sappiamo che né questa misura né nessun’altra può essere la soluzione magica che da sola modifica il sistema. Vogliamo un reddito universale che, in un mondo disuguale come il nostro, debbano pagare i ricchi e che vada in parallelo, per fare un esempio, con interventi per regolare il mercato delle abitazioni, che lo renda più accessibile e che non lo consideri un “bene d’investimento”.

Affermiamo che un reddito universale sarebbe la migliore politica culturale perché siamo consapevoli che la cultura non si costruisce né si sostiene unicamente grazie al lavoro delle persone che vi si dedicano, ma che dipende in tutti i suoi aspetti da un ampio spettro sociale che include coloro che denominiamo abitualmente pubblico. A cosa ci servirebbe un sistema culturale che fosse unicamente al servizio di coloro che hanno il tempo, le risorse e la tranquillità per “consumare cultura”? Non rimane altra strada che quella di considerarci interdipendenti e di preoccuparci per le condizioni di vita di tutti. Se la vita sociale non è garantita a tutti, la cultura non è sostenibile o finisce per essere una risorsa escludente ed elitaria.

Ci pronunciamo a favore di un reddito universale, inoltre, perché non vogliamo più sopportare un sistema che ci richiede solo di produrre —in modo infaticabile, infruttuoso e incessante— contenuti culturali, anno dopo anno, progetto dopo progetto, in una dinamica in cui niente viene messo veramente a frutto, niente è profondo, e che esprime un’idea di cultura in perfetta consonanza con tante altre dinamiche di sovrapproduzione del sistema capitalista. Abbiamo bisogno di un reddito universale per poter fermare questa ruota, e produrre un altro tipo di cultura, compatibile con un mondo abitabile e sostenibile per tutti.

Per finire, e nel caso non fosse sufficientemente chiaro, vogliamo un reddito di base per tutti perché siamo stufe e stufi di un sistema culturale che viene fatto apparire come un mondo magico e privilegiato che vive al margine della vita, perché né questa è la nostra condizione reale, per quanto il luccicare delle apparenze possa farlo immaginare, né è questa la cultura che vogliamo contribuire a creare e a condividere.

Occorrono iniziative capaci di immaginare, esprimere e promuovere un orizzonte che vada oltre questo sistema ingiusto e insostenibile, come già manifestavano e sostenevano tanti collettivi in tanti luoghi del pianeta, ancora prima della crisi del Covid-19; e tuttavia, ora che comincia il processo di uscita dal confinamento, molti pensano che la realtà possa ristabilirsi esattamente come prima. Il nostro vuole essere un contributo nella direzione di un necessario cambiamento che, riconoscendo l’esistenza di inerzie culturali ancora sintonizzate col vecchio modello, vuole attivare l’immaginazione e sommare energie verso un orizzonte di maggiore giustizia, speranza e sostenibilità.

2 Comments

  1. Sperando di non fare una cosa inopportuna, segnalo l’assemblea che stiamo cercando di mettere su per domenica 10 maggio alle 20:30. Il tema è proprio: Reddito Universale Incondizionato in Sardegna, prospettive concrete. Ci si potrà connettere all’assemblea cliccando su questo link:

    https://vc.autistici.org/RedditoUniversaleIncondizionatoSardegna

    Nel nostro appello, noi ci siamo concentrati sulla parte preliminare, sui motivi per cui ora riteniamo sia necessario aprire un dibattito sul Reddito Universale in Sardegna. Mi pare che questo contributo catalano, ovviamente ben più autorevole, si integri benissimo, perché invece mette sul tavolo la descrizione preliminare di cosa può essere il Reddito Universale, operazione che noi abbiamo preferito lasciare al dibattito assembleare. Il reddito è un tema particolarmente divisivo a sinistra, ma mi pare che i tempi che ci apprestiamo a vivere impongano un’accelerata a un dibattito che per troppo tempo è rimasto confinato agli addetti ai lavori.

  2. Il documento che Stefano ha tradotto e che tu pubblichi è molto interessante e condivisibile non solo per gli aspetti che riguardano la cultura. Questo tempo di clausura l’ho occupato studiando molto, adesso ho tra le mani il libro di Stefano Epifani sulla sostenibilità digitale. Per certi versi un testo che affronta la digitalizzazione in maniera positiva, in modo che sia un aiuto a tutti noi. Convid-19 cambierà il mondo, probabilmente non lo farà secondo i nostri desideri o quelli di Slavoj Žižek che intravede una forma di neo comunismo. Io credo invece che i forti usciranno da questa crisi più forti. Però non è certo detto tutto. Ci dovremo confrontare ad esempio con una spinta forte verso l’uso della Intelligenza Artificiale nelle imprese e nelle amministrazioni, questo comporterà maggior disoccupazione o comunque una occupazione di alto livello a cui pochi potranno accedere. Di positivo ci sarà che lo smart working diventerà una regola, dove potrà essere fatta, il che darà spazio ai piccoli comuni se serviti da reti veloci. Così come la Sardegna potrà avere nuove possibilità, anche se viaggi e turismo per chissà quanto tempo saranno ridotti, quindi non sarebbe il caso di contarci. Ecco perché il reddito universale diventa non solo una scelta popolare, ma una possibilità anche per i ceti dominanti se vorranno avere un sbocco di mercato ai loro prodotti.

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