Anche noi siamo italiani

Così, secondo le cronache, avrebbero scritto i rappresentanti dei lavoratori della Keller, rivolti al presidente Napolitano: “Dobbiamo forse credere che, quest’anno che si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia, la nostra isola è solo un’isola? Diciamo di no. Noi lavoratori della Keller sappiamo che nonostante tutto l’Italia è una soltanto e che anche noi, come tutti, ne facciamo parte. Per questo confidiamo che Lei, illustrissimo Presidente, vorrà farsi portavoce della nostra voglia e della nostra determinazione di far si che la Terra Sarda sia una terra di lavoratori onesti che vogliono lavorare e che non possono accettare imposizioni ingiuste che vanno contro quelle che sono le basi della nostra Costituzione, in cui ci riconosciamo pienamente”.

Non meno significativo ciò che scrive il direttore generale della Keller medesima (sempre dall’Unione online): “Ad oggi non abbiamo avuto ancora novità sull’individuazione di un percorso che porti ad una possibile composizione bonaria della vicenda tra Keller e Trenitalia, condizione questa indispensabile per attivare il piano industriale della società, approvato anche da Bruxelles in quanto, gli ultimi gravissimi atti di Trenitalia andrebbero ad incidere significativamente sulla fattibilità dello stesso. Sappiamo che il vertice della Regione Sardegna sta lavorando alacremente sugli interlocutori istituzionali romani per trovare una soluzione che sia prima politica e poi tecnica alla questione al fine di salvaguardare il grande valore che oggi Keller rappresenta sia per il territorio isolano sia per quello nazionale. A questo punto, se da un lato questa azione politica su Roma deve essere portata avanti ai massimi livelli e con fortissima determinazione per riaffermare, in un momento di così forte crisi economica, che il sistema nazionale deve garantire anche alle imprese che operano in Sardegna pari dignità industriale, oltre che la disponibilità di tutti i servizi di base ( soprattutto quando queste hanno ottime prospettive per il futuro, come nel caso di Keller), dall’altro l’azienda deve comunque perfezionare i nuovi scenari che proprio in queste ore sta terminando di valutare. Ciò al fine di evitare di vanificare l’impegno profuso da tutti i soggetti coinvolti nel rilancio della nostra azienda”.

È evidente anche qui, caso mai ci fosse bisogno di esempi concreti, quale enorme equivoco stia alla base di tali ragionamenti e quanto poco essi siano fondati su una consapevolezza piena delle forze in gioco e delle dinamiche entro cui ci muoviamo. È lo stesso equivoco alimentato ad arte sia dalle forze politiche principali sia dai sindacati. Un equivoco che salva i ruoli di intermediazione e i vantaggi che ne conseguono, ma che è esiziale, mortifero per i lavoratori coinvolti e per la Sardegna in generale. Lo scenario è il medesimo che si è presentato sotto i nostri occhi per la Rockwool, per l’Euroallumina, per l’Alcoa, per la Vinyls, per il polo industriale di Ottana.

La pretesa che gli interessi e le necessità della Sardegna trovino soddisfazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico e del sistema di interessi dell’Italia è ormai una speranza folle, che acceca e perde chi vi presta fede, lavoratori e famiglie per primi. Perseverare nel coltivare questa speranza serve solo a rimandare la resa dei conti, che naturalmente poi arriva comunque e con gli interessi maturati nel frattempo.

Se non saranno i lavoratori stessi a mutare la loro prospettiva, non saranno certo i sindacati, tanto meno i partiti politici che da Roma dipendono e prendono ordini, a rovesciare la tendenza devastante cui stiamo soccombendo come collettività storica. Lo dico pur cosciente che i lavoratori sono l’anello debole della catena, quello che cede. Il ricatto occupazionale sistematico cui siamo sottoposti è evidente. Basti pensare allo scempio in atto a Capo Malfatano, parzialmente bloccato per ora dalla forza morale e dalla testardaggine di un solo uomo, Ovidio Marras, non certo da un fronte compatto di cittadini e amministratori locali.

È responsabile continuare ad attendere l’aiuto dello stato italiano? È serio, è dignitoso prostrarsi agli interessi di potentati economico-finanziari forestieri, in cerca di profitti facili, in cambio di un posto tra la servitù?

Nelle stesse ore dell’accorato appello dei lavoratori Keller a Napolitano, tanto per dire, emerge che dalla manovra finanziaria del governo italiano, approvata in Senato e passata ora alla Camera, la Sardegna verrebbe esclusa dall’accesso ai fondi comunitari. Naturalmente è una notizia da verificare bene e da vagliare. Ma pare stia suscitando aspre reazioni politiche, da noi. Di quelle tipiche della nostra classe dirigente, ossia una tacca sotto la scoreggia di moscerino. Il governo italiano si rimangerà questa norma solo per togliersi dalle scatole i poveri questuanti sardi? Chi lo sa. Ma anche se fosse, sarebbe solo la conferma della nostra patologica subalternità.

E poi ci meravigliamo se uno sceicco di passaggio prende e decide di comprarsi un pezzo di Sardegna? Se non lo farà lui, lo faranno di qui a poco i cinesi, e magari non solo una parte, ma tutta l’Isola. Crediamo che lo stato italiano non ci farebbe un pensierino, pur di fare cassa e sbarazzarsi una volta per tutte di questa zavorra inutile? Capaci che la fanno sotto il naso agli americani, che pure coltivano ancora interessi geopolitici sul nostro conto. Ma si sa che l’Italia è sempre stata abile a giocare su due tavoli contemporaneamente e a mentire per la gola su qualsiasi faccenda. È un costume nazionale da sempre, mica prerogativa di Berlusconi.

Altro che invocare la propria italianità! Cari fratelli della Keller e tutti gli altri: aprite gli occhi!