Si celebra (un po’ in sordina, visti i chiari di luna) il sessantesimo anniversario della Costituzione repubblicana italiana. Un’ottima carta fondamentale, per vari aspetti. Contestualmente ci sarebbe da celebrare anche la promulgazione delllo Statuto speciale della regione sarda, ma non sembra che la ricorrenza susciti grande trasporto emotivo. Non nelle istituzioni, men che meno nella popolazione.
La Costituzione nacque in un contesto assolutamente unico: era appena finita la prima vera guerra di popolo della storia italica (la Resistenza, con buona pace dei revisionisti) e le forze popolari di matrice marxista e cattolica avevano l’appoggio morale e materiale delle masse. Si trattava di forze politiche realmente rappresentative, allora, protese verso un futuro che si sperava, per l’Italia, migliore rispetto alla prima metà del XX secolo (guerra contro l’impero turco, due guerre mondiali, il fascismo, l’avventura coloniale, e tutto il resto).
Purtroppo la Sardegna, in una situazione costruttiva e progressiva come quella, giocava ancora una volta un ruolo marginale. Non avendo vissuto direttamente la guerra di liberazione, nel processo di innovazione politica e sociale del dopoguerra non vi si erano coagulate le forze migliori della società bensì riemergevano quelle che avevano gestito la cosa pubblica prima dell’avvento del fascismo.
La consulta regionale preposta alla redazione dello Statuto era un coacervo di politicanti egemonizzati dalla democrazia cristiana (partito di notabili e di printzipales, in qualche caso passati repentinamente e all’ultimo momento dall’appoggio al regime fascista ad un comodo antifascismo a posteriori e ben lontano dal fronte caldo). Ecco in quale contesto nacque lo Satuto. Non a caso lo stesso E. Lussu ne contestò aspramente l’impianto, suggerendo di prendere spunto da quello siciliano (ben più radicale). Non se ne fece niente, con l’argomento capzioso che l’orgoglio sardo non consentiva di scrivere la propria legge fondamentale scopiazzandone una altrui. Il nostro Statuto venne approvato, come si sa, appena in tempo per essere promulgato, in fretta e furia e con tutti i limiti che si portava appresso. Molte magagne politiche della storia sarda recente nascono anche da quella radice infetta.
C’è poco da celebrare, in definitiva. Tuttavia, la ricorrenza può tornare utile come momento di riflessione per la distratta classe politica sarda e magari per tutti i sardi. Proviamo a fare tesoro delle delusioni e dei tradimenti del passato per chiederci dove vorremmo arrivare di qui a sessant’anni e quale futuro ci piacerebbe per i nostri figli e nipoti. Forse ne discenderanno considerazioni illuminanti.