La ricetta del progresso

Finché la maggioranza dei sardi non metabolizzerà la preminenza degli interessi generali e pubblici su quelli particolari e privati, la condizione materiale e politica dell’Isola non potrà migliorare di molto. Una terra dalle caratteristiche geografiche e storiche come la nostra è sempre in bilico tra la dipendenza economica e culturale e l’isolamento, la carenza di scambi materiali e ideali. Entrambi sono fenomeni forieri di sottosviluppo. Ma c’è anche un’altra duplice possibilità: coesione interna, libera e condivisa crescita civile e, a completamento, apertura paritetica verso l’esterno.

La nostra bassa densità di popolazione non impedisce l’esistenza di un mercato interno autossuficiente in molti settori produttivi (dall’industria agroalimentare, alla musica, tanto per fare esempi di genere diverso). Inoltre, la scarsa pressione antropica ha finora perpetuato un’integrità ambientale piuttosto rara nel panorama europeo. Cosa di cui tendiamo a vantarci, salvo poi vanificarla di fatto alla prima occasione per incuranza o in nome di interessi speculativi immediati. Insomma, non è vero affatto che la Sardegna è predestinata alla povertà e alla dipendenza dall’esterno. Anzi, in molti settori esiste una potenzialità espansiva notevole, solo che si punti sulle competenze e sul libero confronto intellettuale e professionale. Ciò che deprime le nostre possibilità di benessere e di sviluppo non sono condizioni oggettive di inferiorità, bensì soprattutto la miopia della classe dirigente, espressa per lo più da centri di potere corporativi e settoriali, regolarmente legati ad interessi forti estranei all’Isola e agli interessi collettivi dei sardi. Purtroppo sono i medesimi centri di potere che controllano gran parte dei mass media e che condizionano in un modo o nell’altro e in varia misura tutti i settori, da quelli strettamente economici a quelli di produzione culturale. Di questo dobbiamo essere consapevoli, quando ci investe il battage propagandistico su questo o quel tema. La vertenza sulle entrate (lo Stato italiano è moroso verso la Sardegna per miliardi di euro, ricordiamolo), la pretesa di veder ridurre e possibilmente eliminare le servitù militari, l’avvio di un sistema di trasporti più efficiente e rispettoso delle esigenze dei cittadini e delle necessità economiche sarde, il piano paesaggistico, la normativa fiscale su seconde case e imbarcazioni di lusso, la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, l’eliminazione degli sprechi, delle regalie clientelari, dei finanziamenti a pioggia, sono tutte misure che, pur nei limiti di provvedimenti perfettibili come è qualsiasi atto politico, vanno nella direzione giusta. Storicamente giusta. Quante delle critiche che negli ultimi anni sono state mosse verso questi ed altri provvedimenti discendono da intenzioni costruttive nell’interesse generale della comunità sarda, e quante invece sono contestazioni pretestuose volte a salvaguardare privilegi e arricchimenti privati o corporativi?
Impariamo a farci sempre molte domande, su ciò che ci riguarda, a cercare le informazioni e i fatti dietro la propaganda o la disinformazione. Il nostro mondo non si esaurisce sulla porta di casa. E nemmeno sulla riva del mare. Dal confronto aperto e alla pari col resto dell’umanità non abbiamo che da guadagnarci. A patto che affrontiamo il mondo concordi. Ci piace definirci “popolo”: siamolo una volta per tutte, dunque! il destino collettivo della nostra gente è più importante e può offrirci molto di più di qualsiasi vantaggio particolare momentaneo, magari elargito pietosamente dalla stessa mano che ci rapina del nostro futuro.