Negli ultimi anni si è assistito al progressivo affermarsi della letteratura sarda in lingua italiana ben al di là dei confini dell’Isola. Una fioritura di autori ormai entrati a far parte del sistema editoriale italico ed europeo, con la sanzione di premi letterari e comparsate televisive. È l’emersione in superficie di un magma che andava ribollendo da alcuni anni. La forma romanzo sembra aver trovato in Sardegna un ambiente favorevole in cui continuare a vivere, non in modo saltuario ed eccezionale (Deledda, Satta, Dessì, Fiori), ma direi fisiologicamente diffuso.
Perché ora e perché qui?
Intanto bisogna dire che il grado di alfabetismo e di scolarizzazione in Sardegna è cresciuto moltissimo negli ultimi quarant’anni. La lingua italiana si è ritagliata uno spazio significativo come lingua di prima socializzazione e il livello medio di competenza linguistica dei sardi è decisamente aumentato. In Sardegna ormai si padroneggia diffusamente il medium “lingua italiana” e, all’interno della semiosfera circoscritta dall’uso di tale idioma, inevitabilmente trova il suo sfogo naturale la creatività letteraria.
Sul perché tale creatività investa quasi esclusivamente la forma romanzo, e non per esempio la forma poetica (che rimane prevalentemente in sardo), la spiegazione si può trovare nella metabolizzazione tarda ma ormai in fase di compimento della Modernità in Sardegna. Il romanzo è la voce della Modernità. Ergo, il romanzo si impone come forma comunicaiva in Sardegna. La poesia invece è tradizionalmente veicolata dalla lingua sarda e appartiene ad un orizzonte di senso diverso, pre-moderno, non strettamente alfabeta, dai confini diversi rispetto a quello disegnato dall’alfabetismo e dai media contemporanei. La caratteristica della Sardegna è che le due sfere convivono, e spesso, quando il livello di consapevolezza e di elaborazione è alto, si sovrappongono e si arricchiscono vicendevolmente. Ma questo è già un altro discorso.
A parte il definitivo ingresso della Sardegna nell’era moderna, nel vasto successo dei romanzieri sardi contemporanei gioca un ruolo non secondario la ben nota dinamica centro-periferia-centro delle forme culturali. La Sardegna, a lungo periferia dell’Occidente, restituisce in termini di elaborazione propria, i modelli ricevuti dal centro. La produzione di senso, il patrimonio di immaginario, di cultura materiale e ideale, che la Sardegna ha elaborato nei secoli, può finalmente essere proposto in forme condivise universalmente. Il pioniere e padre putativo di tale fenomeno è stato certamente Sergio Atzeni, cui gli autori sardi contemporanei devono moltissimo (che piaccia loro ammetterlo oppure no).
Ultimo punto, in concreto decisivo, è il notevole sostegno economico che l’industria editoriale ha ricevuto negli ultimi dieci-quindici anni dalle istituzioni pubbliche sarde, sotto forma di finanziamenti, acquisti garantiti, promozione pubblicitaria, ecc. Questo flusso di risorse si è di recente interrotto, causa ridimensionamento delle spese incontrollate e dei finanziamenti a pioggia (e spesso a vuoto). Le realtà editoriali spuntate come funghi negli ultimi anni mostrano segnali di difficoltà. È lecito immaginare che tra tutte rimarranno attive quelle che hanno costruito una struttura solida su cui fare affidamento, in termini di acquisizione di competenze professionali, di possibilità di selezionare i materiali, di capacità di imporre la propria produzione a un livello sovra-provinciale.
Rimane il dato acquisito del definitivo superamento del complesso di inferiorità e di invincibile marginalità che ha a lungo mortificato le energie creative dei sardi. Una lezione preziosa per il presente e per il futuro, non solo in campo letterario.