La coscienza di esistere (in memoria di Francesco Cilocco)

Il 30 agosto del 1802 veniva messo a morte a Sassari Francesco Cilocco, notaio (o forse più una sorta di cancelliere) di Cagliari, ma soprattutto rivoluzionario. Cilocco era reduce da anni di impegno sul fronte del rovesciamento del sistema feudale in Sardegna ed era uno dei più accesi fautori della prospettiva repubblicana, quindi apertamente in rotta con le strutture di potere sabaude. La sua morte cruenta fu l’esito drammatico dell’ennesimo tentativo di sollevare la Sardegna contro il sistema politico vigente. Insieme a un altro grande personaggio dell’epoca rivoluzionaria sarda, Francesco Sanna Corda, parroco di Torralba e teologo, Cilocco aveva guidato un tentativo di sbarco e occupazione della Gallura, con l’intento di sobillare una grande rivolta nel Capo di Sopra e da lì prendere tutta l’Isola e proclamare la repubblica. Sanna Corda morirà poco dopo il fortunato sbarco a Lungoni (Longosardo, presso l’odierna S. Teresa di Gallura), in un conflitto a fuoco. Cilocco, dopo settimane di fuga, verrà tradito da una famiglia del luogo, a cui era stato ucciso il figlio dalle autorità costituite per rappresaglia contro il suo appoggio alla causa rivoluzionaria. Era un metodo crudele ma evidentemente efficace per eliminare la rete di protezione su cui i rivoluzionari contavano. Del resto, anche il capo banda a cui Sanna Corda e Cilocco confidavano di affidarsi per le questioni logistiche e per gli spostamenti in Gallura, tale Mamia, si era rivelato immediatamente un traditore, facilmente corrotto dalle autorità con la promessa di un salvacondotto.

Cilocco – trascinato in catene e seviziato – fu messo a morte a Sassari, dunque, e i suoi resti vennero smembrati e appesi alle porte della città, come monito. La minaccia che lui e gli altri rivoluzionari costituivano era tenuta in grande considerazione dalle autorità sabaude, specie in quegli anni, con la presenza della corte piemontese a Cagliari, a sua volta in fuga dalle conquiste napoleoniche. La repressione sabauda fu a lungo feroce e spietata, non arrestandosi davanti a nulla, come avvenuto nel 1799, allorché non si esitò a bombardare con l’artiglieria interi villaggi (Thiesi, per esempio) o a imprigionare e uccidere decine e decine di persone, comprese donne, vecchi e ragazzi. Sorprende, dunque, ed è altamente significativo di quali fossero gli umori diffusi, il fatto che ancora a lungo si cercherà di rivitalizzare la spinta rivoluzionaria, da parte della porzione di società sarda più illuminata e votata al riscatto sociale e politico dell’Isola. Ancora dieci anni dopo il tentativo di Cilocco e Sanna Corda del 1802 verrà duramente repressa l’ultima cospirazione volta a sollevare la Sardegna contro il regime sabaudo (la cosiddetta “congiura di Palabanda”).

Di tutto ciò i sardi sanno poco o nulla. Non esiste una memoria collettiva di questi eventi e la storiografia a lungo ha preferito ignorarli. Solo nel 1984, con la pubblicazione di Storia della Sardegna sabauda di Girolamo Sotgiu (Laterza), l’intera epopea rivoluzionaria sarda ha trovato una narrazione compiuta. Non senza esitazioni di tipo politico da parte dell’autore stesso, pure storico di prim’ordine, ben cosciente della portata che la rievocazione obiettiva di questi avvenimenti poteva avere per i sardi, nel contesto di una ignoranza diffusa di sé, alimentata dal nostro mito identitario debilitante.

Oggi abbiamo il dovere di riappropriarci della nostra storia e soprattutto del senso della nostra piena e duratura partecipazione ai processi culturali e politici europei e mediterranei, partecipazione che il sistema di potere dominante, anche con la complicità del ceto intellettuale sardo, ha a lungo negato. La Sardegna e i sardi non sono mai stati “fuori dalla storia” né sono mai stati privi di una loro storia, come ci è stato inculcato. La nostra stratificazione culturale è profonda diversi millenni ed ha sempre interagito con tutti i flussi della civiltà che hanno percorso questa porzione del pianeta. In qualche momento siamo stati attivamente partecipi in termini creativi di questo lungo e complesso percorso umano (tra Neolitico ed Età del ferro, nel corso di tutto il medioevo, a cavallo tra Sette e Ottocento). Il fatto che la diffusione di tale consapevolezza possa risultare pericolosa per lo status quo, per le strutture di dominio cui siamo sottoposti, è un motivo in più per impegnarci in tal senso e per rendere il maggior numero possibile di sardi coscienti della propria ubicazione nel tempo e nello spazio. È uno degli elementi fondamentali e strategici di qualsiasi prospettiva di emancipazione collettiva, al di là della quale rimane solo il nostro lento e doloroso genocidio. Cando si pesat su bentu, est pretzisu bentulare.