Strutture e sovrastrutture

Le elezioni statunitensi mettono in evidenza una lezione che dovremmo aver imparato dalla storia, ma che tendiamo a non riconoscere. In questo, le narrazioni egemoniche e l’armamentario mentale da esse costruito e distribuito hanno il loro peso.

La tendenza dominante è di conferire estrema rilevanza a eventi come le elezioni, specie quelle presidenziali. E, tra quelle presidenziali, ovviamente, a quelle targate USA. Si enfatizza sempre molto il momento del voto e se ne celebra la portata con aggettivazioni spesso iperboliche, scomodando con facilità la Storia, quella con la iniziale maiuscola.

Ma siamo sicuri che questi eventi abbiano davvero la portata che siamo soliti annettere loro? Il funzionamento dei sistemi di convivenza umana dipende davvero da questo genere di meccanismi? Si può dire, senza essere tacciati di qualunquismo, che sostanzialmente un presidente statunitense vale l’altro, in termini storici profondi (e a volte anche in senso contingente)?

Chiarisco subito che non intendo negare le differenze tra regimi politici, tra forme di governo e forme di stato diverse o anche tra candidati e partiti vari. Le differenze ci sono e a determinate condizioni hanno il loro peso. Ma si tratta – con tutta evidenza – più che altro di funzioni contingenti di sistemi complessi alla cui base ci sono altre strutture.

Pensiamo a cosa volesse dire nel corso della storia della Roma antica il cambiamento di leadership politica. Quali erano, allora, i mutamenti che veramente comportavano conseguenze pratiche profonde? Non erano certo i processi di successione al livello massimo del potere politico. Nemmeno il trapasso dalla repubblica al principato fu un reale stravolgimento strutturale. Le stesse modalità di accesso alla carica più alta – fossero pacifiche e concordate o conflittuali e violente – non hanno mai influenzato, per secoli, il funzionamento profondo del sistema.

Nella Roma antica, così come in altri casi di sistemi politici complessi, ciò che generava discontinuità e/o traumatici passaggi di fase erano altri fenomeni e altri processi. Per esempio un rovesciamento nei rapporti di forza tra classi sociali. O misure che incidevano strutturalmente sul sistema economico e sulla mobilità sociale. Ad esempio, sempre riguarda alla Roma antica, in epoca tarda ebbero molto più peso le misure fiscali e sociali assunte dagli imperatori da Diocleziano in poi che gli intrighi per la successione al trono. Allo stesso modo, in precedenza, nel periodo di espansione politica ma anche economica, sociale e culturale dell’impero romano, contavano molto di più le possibilità concrete di migliorare la propria esistenza da una generazione all’altra, la mobilità sociale, la libertà di scambio non solo economico ma anche culturale, di qualsiasi vicenda dinastica.

In qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine, almeno a partire dalla rivoluzione del neolitico, la coesistenza umana ha fondato i suoi successi e i suoi fallimenti più sulle strutture profonde, sulle articolazioni produttive e sociali, sul dinamismo interno alle varie collettività, che sui sistemi politici in quanto tali.

Se diamo uno sguardo intorno a noi, oggi, nel nostro tempo, vediamo che nella stessa Europa convivono sistemi politici nient’affatto omogenei, anche se tutti formalmente democratici. Persino a livello elettorale esistono tanti sistemi quante sono le articolazioni giuridiche del continente, spesso con differenze interne agli stessi stati. Quel che rende efficiente una compagine politica, che fa sì che un ordinamento giuridico risponda meglio di un altro alle esigenze dei suoi cittadini, non sono tanto le singole soluzioni elettorali, i sistemi di formazione del consenso e le forme di rappresentanza, quanto piuttosto altri elementi della convivenza associata. Le strutture produttive, le reti infrastrutturali, le reti sociali, l’etica pubblica, il senso di appartenenza, la coscienza civile, la fiducia, la libertà di espressione, l’eguaglianza sostanziale.

Per questo il dibattito in perenne ebollizione in Italia sulle forme da dare ai meccanismi elettorali è solo tempo perso, fumo negli occhi. Che lo sappiano o no, le forze politiche e i mass media che indulgono costantemente, in modo feticistico, nel dibattito istituzionale, stanno sprecando tempo loro e ne stanno facendo sprecare ai cittadini che li seguono in questa follia.

Il discorso si può declinare anche in riferimento agli avvenimenti sardi di questi giorni. In Sardegna quello che manca non è una buona legge elettorale o qualcosa che attenga a questo livello del discorso pubblico. In Sardegna, soprattutto, mancano o funzionano male alcuni elementi basilari della convivenza umana. Manca una diffusa coscienza di noi stessi nel tempo e nello spazio, manca un senso di appartenenza chiaro, latita il senso di responsabilità verso la collettività, è labile la coscienza politica profonda. E sono purtroppo carenti alcune strutture fondamentali, come un tessuto economico impostato secondo le risorse e le esigenze del territorio, un sistema di infrastrutture materiali che risponda alle necessità pratiche dei cittadini, una articolazione sociale dinamica, una distribuzione della ricchezza non eccessivamente polarizzata, un’eguaglianza formale e sostanziale riconosciuta ed effettiva.

Oggi a Cagliari migliaia di sardi si ritroveranno per manifestare il proprio scontento politico. La piattaforma rivendicativa chiama in causa esplicitamente l’idea di sovranità. Il bersaglio della protesta – ma anche della proposta – sarà l’attuale classe politica sarda. Chiaramente, si tratta di un momento di aggregazione e di mobilitazione dei cittadini che ha le sue ragioni e che non nasce solo dalle voglie di protagonismo di pochi leader autonominati. Il disagio è reale, i problemi sono molto concreti e questa prova di unitarietà d’intenti è un buon segnale politico già di per sé.

Tuttavia, bisognerebbe porsi il problema di dove mettere le mani, per migliorare la nostra condizione storica. Chiedere le dimissioni in blocco del consiglio e della giunta regionali è un modo comunicativamente efficace di porre la questione. Il fallimento politico è evidente, non è che ci sia molto da salvare, specie in questa legislatura. Così come è evidente che il livello medio dei consiglieri regionali è veramente basso: sorteggiando tra i cittadini 80 persone e mettendole in consiglio regionale non si abbasserebbe di certo la media. Anzi, c’è il ragionevole sospetto che la media si alzerebbe. Ma non è questo (o solo questo) il punto.

Il punto è che in Sardegna e tra i sardi, come in qualsiasi altra porzione di mondo antropizzata e presso qualsiasi comunità umana appena appena complessa, bisogna sempre tenere sotto lo sguardo gli elementi costitutivi di una convivenza organizzata. Quali che siano le modalità di selezione della classe politica, quali che siano i modi di elezione dei rappresentanti popolari e delle cariche di governo, se mancano i presupposti strutturali perché la nostra collettività funzioni bene, perché abbia una propria soggettività e un proprio grado di coesione interna, un proprio coefficiente intrinseco di felicità, le conseguenze saranno negative o addirittura pessime. E non in termini di crisi passeggera, ma in termini di disfunzioni di lunga durata.

Su questo deve interrogarsi la politica. Politica intesa non solo nel senso delle formazioni sociali che la animano (i partiti, i movimenti, i comitati, ecc.) ma soprattutto nel senso più generale del ragionamento condiviso tra i cittadini sul proprio sistema di convivenza, dell’apporto che ciascuno di noi può dare alla collettività. È un approccio che deve essere maturato dai sardi, senza attendere che possa farlo qualcun altro per noi. Perché nessun altro può farlo. Certo, è più facile sbraitare contro il Palazzo, dimenticando a volte che chi lo occupa è stato messo lì da noi stessi, magari per un favore ricevuto o atteso, magari per un malinteso senso di fedeltà personale o di gruppo. Ma non è quello l’unico livello o comunque il livello fondamentale dei processi politici. Bisogna saperlo e bisogna agire di conseguenza.

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Articolo originale su: http://sardegnamondo.blog.tiscali.it/2012/11/07/strutture-e-sovrastrutture/